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La responsabilità medica in caso di intervento chirurgico di ernioplastica.

Nelle obbligazioni di mezzi è la diligenza del debitore e non il conseguimento del risultato a costituire metro di giudizio: tale diligenza non è quella generica del buon padre di famiglia, ma quella qualificata dell' homo eiusdem professionis ac conditionis.

Tribunale di Brindisi – Sezione distaccata di Ostuni, avv. Uggenti – Sentenza n. 193 del 3 dicembre 2012.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il G.O.T. del Tribunale di Brindisi, Sez. Distaccata di Ostuni, avv. Vittoria Uggenti, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta a ruolo n. 158/2004 R.G. tra

N.G., ;                                                                                                      attore

CONTRO

AUSL BR/l ,                             Convenuta

NONCHE'

Dr .C.T. e D.A.I.,                                            Convenuti

NONCHE'

Dr. P.N., 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato N.G. conveniva in giudizio l'ADSL BR/l, oggi ASL BR e i dottori: Dr. C.T., I.D.A. e N.P. per sentirli condannare in solido al pagamento della somma di € 20.000 a titolo di risarcimento danni subiti dall'attore, a seguito di un intervento chirurgico di" ernioplastica destra"

Il Nisi lamentava l'imperizia e la negligenza dei sanitari dell'Ospedale di Ostuni durante l'intervento che avrebbe avuto come conseguenza la perdita funzionale del testicolo dx ..

Si costituivano in giudizio i convenuti che contestavano la domanda, nell' an e nel quantum.

La causa espletata l'attività istruttoria all'udienza del 13/07/2012 precisate le conclusioni veniva trattenuta per la decisione con i termini di cui all'art 190 cpc per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata e pertanto deve essere accolta per quanto di ragione.

Da quanto non specificamente contestato, dalla documentazione sanitaria prodotta in atti dal N. al momento della costituzione in giudizio relativa ai trattamenti terapeutici subiti, dalle valutazioni tecniche svolte dal consulente di ufficio, si evince che il 17.05.2003 l'attore veniva ricoverato presso il Reparto di Chirurgia Generale dell'Ospedale Civile di Ostuni, dell' Azienda D.S.L. BR/l, con la diagnosi di " ernia inguinale dx obliqua esterna".

Il giorno 19.05.2003, la equipe del suddetto reparto composta dal primario dr C.T. insieme al dr . I.D.A. ed al dr. P.N., lo sottoponeva ad intervento chirurgico di " ernioplastica destra secondo Trabucco".

Terminato l'intervento, il sig. N., veniva ricondotto nella propria stanza di degenza ove notava immediatamente un ampio annerimento di gran parte dell' addome e della gamba dx fino al ginocchio con eccessivo gonfiore localizzato all'altezza dell'emiscroto destro.

Assume che nonostante avesse più volte segnalato la cosa ai sanitari del reparto, non gli veniva effettuato alcun controllo e solo in data 22.05.2003, veniva sottoposto a visita da parte del dr T. che, senza dare alcuna spiegazione circa le complicanze post operatorie verificatesi, gli riferiva che l'intervento era regolarmente riuscito e che il giorno successivo sarebbe stato dimesso dal nosocomio.

In data 23.05.2003, pertanto, nonostante il persistente annerimento di gran parte dell' addome e della gamba dx con perdurante gonfiore e dolore dell' emiscroto dx, il sig N. veniva dimesso dal reparto in cui era ricoverato.

In data 28.05.2003, i sanitari del reparto dell'ospedale Civile di Ostuni provvedevano rimuovergli i punti di sutura e senza tener conto dei preesistenti disturbi lamentati dallo stesso, continuavano a non effettuare alcun controllo. successivamente l'attore è stato costretto ad oltre 3 mesi di assoluta impossibilità deambulatoria.

In seguito, il N., riscontrando una differenza volumetrica del testicolo dx si sottoponeva ad ecografia urologica presso l'unità Operativa Urologica di Ostuni che evidenziava: " didimo dx ridotto di volume di forma arrotondata ad eco struttura tendenzialmente omogenea, in involuzione sclero atrofica.

Successivamente si sottoponeva a visita urologica dove si riscontrava l'atrofia testicolare destro.

Sicchè la colpevole imperizia e negligenza delle prestazioni, effettuate dai sanitari durante il predetto intervento hanno causato la legatura e/o la compressione accidentale del deferente che, unito al mancato approfondimento diagnostico ed etiologico della sintomatologia e fenomenologia determinatasi, in capo al N., nell'immediato decorso post operatorio hanno determinato la grave e permanente menomazione dello stesso, per la perdita funzionale del testicolo dx, oltre ad altri postumi che vanno ad incidere nella vita di relazione e in particolare di coppia.

Tali essendo i principali elementi di fatto accertati, si rileva che l'attore ha chiesto affermarsi la responsabilità risarcitoria solidale dell'USL BR/l e dei medici convenuti per i danni subiti a causa della non diligente esecuzione della prestazione sanitaria da parte dei medici alle dipendenze dell'USL, la quale ove tempestiva ed adeguata avrebbe in tesi evitato le conseguenze dannose derivate.

È utile preliminarmente, richiamare i seguenti principi giurisprudenziali ormai consolidati m materia di responsabilità medica rilevanti nella presente controversia.

Il rapporto fra il paziente e medico da un lato e fra paziente e struttura sanitaria dall'altro, è regolato dalla disciplina delle obbligazioni contrattuali ( casso 24/512006) la struttura sanitaria oltre alla responsabilità per inadempimento delle obbligazioni assunte in proprio con il contratto di spedalità o assistenza sanitaria ( fornire al paziente prestazioni albe ghiere, mettere a sua disposizione il personale paramedico, apprestare medicinali ogni attrezzatura necessaria anche per eventuali complicazioni) è tenuta a rispondere anche del fatto dei sanitari della cui opera si avvale, ancorchè non siano suoi dipendenti ai sensi dell'art 1228 cc. 

In applicazione della normativa sui rapporti contrattuali (art 1218 cc), il paziente è tenuto a dimostrare quale creditore della prestazione sanitaria, la conclusione del rapporto contrattuale e a dedurre l'inadempimento del debitore, inadempimento che deve essere astrattamente efficiente alla produzione del danno; spetta invece al debitore della prestazione, cioè al medico e alla struttura sanitaria, provare che inadempimento non v'è stato o che è dipeso da fatto a lui non imputabile, ovvero che pur esistendo, non è stato causa del danno.

Sulla valutazione dell'adempimento, poiché si tratta di obbligazione di mezzi è la diligenza del debitore e non il conseguimento del risultato a costituire metro di giudizio: tale diligenza non è quella generica del buon padre di famiglia, ma quella qualificata dell'homo eiusdem professionis ac conditionis ai sensi dell'art 1176 cc. II co. (Cass. 28.01.03 n.1228);

inoltre la limitazione della responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave prevista dall'art. 2236 cc quando la prestazione comporti la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non trova applicazione se la sua condotta è stata negligente o imprudente (Cass. 1.3.07. n. 4797);

sussiste nesso di causalità tra il comportamento del sanitario e il pregiudizio subito dal paziente qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico - c.d regola della preponderanza dell'evidenza e del più probabile che non, cioè probabilità logica desumibile dagli elementi di conferma disponibili nel caso concreto e della contemporanea esclusione di possibili elementi alternativi (Cass. 11.1.08 n.584, 582 ) si ritenga che l'opera del professionista abbia causato o concorso a causare il danno verificato si oppure, in caso di condotto omissiva, se quell'opera ove correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi (Cass. 23.9.04 n. 1933).

Ciò premesso, la responsabilità dell'ente ospedaliero ricorre, sia ai sensi dell'art 1218 , in relazione a propri fatti d'inadempimento ( ad es. in ragione della carente o inefficiente organizzazione relativa alle attrezzature o alla messa a disposizioni di medicinali o del personale medico ausiliario e paramedico, o alle prestazioni di carattere alberghiero) sia ai sensi dell'art 1228 cc per quanto concerne il comportamento specifico dei medici dipendenti, dal momento che il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, risponde anche dei comportamenti dolosi o colposi di costoro, per quanto non siano alle proprie dipendenze. 

L'obbligazione assunta dal medico, sia che questi operi come libero professionista, sia che agisca come dipendente di una azienda sanitaria, è ricondotta generalmente allo schema della locatio operis.

Il professionista non è tenuto all'esecuzione di un'opera o di un servizio, ma esclusivamente ad un idoneo impiego di mezzi in funzione del perseguimento di un risultato che potrebbe anche non venire.

La qualificazione dell'obbligazione del medico come obbligazione di mezzi si giustifica in ragione dell'intrinseca aleatorietà degli esiti dell'attività considerata.

Il ricorso agli strumenti della scienza, d'altronde, non consente al medico di prevenire ogni forma di rischio o di danno connesso alla propria attività, e conseguentemente non gli si può chiedere a tutti i costi l'esito positivo del trattamento.

Il medico in altri termini non si impegna a guarire il paziente, bensì ad assumere un comportamento tecnicamente qualificato, ovvero a curare il paziente in modo diligente e coscienzioso, mettendo a disposizione di questi tutte le conoscenze che si danno per acquisite dalla comunità medico ­scientifica al momento in cui sorge il rapporto con il paziente.

In sostanza, se si recupera la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, l'obbligazione cui è tenuto il medico rientra fra le prime.

Il medico, pertanto, non è obbligato a raggiungere il risultato avuto di mira dal paziente, bensì è tenuto a porre in essere un comportamento diligente secondo le generali regole di prudenza, diligenza e perizia: ne consegue che l'inadempimento del professionista, fonte di responsabilità dello stesso, non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza.

L'evoluzione interpretativa, tuttavia, ha posto In cnsi la tradizionale qualificazione dell'obbligazione del medico come obbligazione di mezzi e tende ad introdurre in tale categoria elementi propri delle obbligazioni di risultato, in cui ciò che è dovuto è l'obiettivo concordato e non l'attività svolta per conseguirlo.

In tali casi, quindi, il mancato conseguimento del bene è di per sé considerato fattispecie di inadempimento, salvo poi al debitore dimostrare la non imputabilità dello stesso (art. 1218 c.c.).

Tale tendenza si manifesta, in particolare, con riferimento a quelle ipotesi in cui l'operazione effettuata dal medico venga considerata di prestazione di routine, che prevedono regole tecniche che, se applicate in modo diligente, assicurano, nella quasi totalità dei casi, il raggiungimento del risultato sperato.

In tali casi, il mancato raggiungimento del risultato fa presumere la negligenza o l'imperizia del sanitario e, dunque, il suo inadempimento.

Sintomatica di tale orientamento è la sentenza della Corte di Cassazione n. 14759 del 26/06/2007) , che ha precisato:" è vero infatti che l'obbligazione assunta dal professionista e dalla struttura è di mezzi e non di risultato e che il mancato o incompleto raggiungimento del risultato non può di per sé implicare, dunque, inadempimento (o inesatto inadempimento), anche vero che il totale insuccesso di un intervento di routine e dagli esiti normalmente favorevoli, come il parziale insuccesso che si registra nei casi in cui dall'intervento sia derivata una menomazione più gravosa di quella che era lecito attendersi da una corretta terapia della lesione o della malattia, si presenta come possibile ed altamente probabile conseguenza dell’inesatto adempimento della prestazione”.

Concretamente, tuttavia, permane una sostanziale differenza, ovvero la liberazione dalla responsabilità da parte del sanitario non avviene solo se quest’ultimo dimostra che la prestazione è diventata impossibile per causa a lui imputabile o per caso fortuito, ma anche con la prova del proprio comportamento diligente, perito, prudente.

Posto che la diligenza richiesta al medico è quella professionale, specifica del buon medico (art. 1176, comma II, c.c.), tre sono gli obblighi fondamentali cui il medico si deve attenere:

- obbligo di cura. E' l'attenzione che il soggetto deve impiegare nell'esecuzione della prestazione, prendendo le iniziative necessarie e verificando le proprie capacità ed i propri mezzi nell'eseguire la prestazione. La violazione di tale obbligo comporta il sorgere della colpa per negligenza;

- obbligo della prudenza. E' l'osservanza delle misure di cautela idonee ad evitare che sia impedito il soddisfacimento dell'obbligazione o comunque che siano pregiudicati altri interessi del creditore. La violazione di tale obbligo comporta il sorgere della colpa per imprudenza;

- obbligo della perizia. In senso oggettivo è l'impiego di adeguate nozioni e strumenti tecnici. In senso soggettivo indica l'abilità e la preparazione tecnica del soggetto obbligato: in caso di sua violazione vi è responsabilità per imperizia.

L'obbligazione di diligenza muta ulteriormente a seconda del grado di specializzazione posseduto dal medico e richiesto dalla prestazione: la giurisprudenza distingue tra una diligenza professionale generica ed una specializzata, e quella richiesta nel singolo caso deve essere valutata sulla base della qualità o meno di specialista del soggetto che esegue la prestazione.

La diligenza specifica del debitore qualificato comporta il rispetto di tutte le regole e di tutti gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica.

In definitiva, la diligenza che il medico-chirurgo deve impiegare nello svolgimento della professione sanitaria è quella del regolato e accorto professionista esercente la sua attività con scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale.

Il richiamo alla diligenza ha, dunque, la funzione di ricondurre la responsabilità del medico alla violazione di obblighi specifici derivanti da regole disciplinari precise: come è stato recentemente confermato dalla giurisprudenza, la diligenza assume il duplice significato di parametro di imputazione dell'inadempimento e criterio di determinazione del contenuto dell'obbligazione.

Accanto all'onere di agire diligentemente, è previsto un ulteriore obbligo cui deve attenersi il medico: l'obbligo di vigilanza nella fase post­operatoria.

Se l'intervento operatorio in senso stretto può ritenersi concluso con l'uscita del paziente dalla camera operatoria, tuttavia un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato certamente grava sul sanitario anche nella fase successiva.

In realtà tale dovere di sorveglianza può considerarsi una specificazione del generale dovere di diligenza: il medico-chirurgo deve comportarsi diligentemente durante tutto l'intervento e quindi sia in fase pre-operatoria che post-operatoria, così da garantire la completa risoluzione dell'intervento.

Da quanto sinora detto si può quindi dire che il medico risponde per colpa ogniqualvolta non si sia attenuto alle generali regole di prudenza, diligenza e perizia valutate in relazione all'attività esercitata e al grado di specializzazione dello stesso.

La responsabilità del medico risulta peraltro limitata ai soli casi di dolo o colpa gravequando"la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà" (art. 2236, c.c.).

Detto principio si applica soltanto quando il caso concreto si presenti come straordinario ed eccezionale, non essendo stato adeguatamente studiato nella scienza e sperimentato nella pratica, ovvero quando nella scienza medica siano proposti e dibattuti diversi sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica giuridica, tra i quali il medico deve operare la sua scelta. In sostanza, la limitazione della responsabilità del medico alle sole ipotesi di dolo o di colpa grave si applica soltanto in ordine a interventi chirurgici di particolare complessità;

 

 

Accanto alla responsabilità medica tradizionalmente considerata, deve ricordarsi che con la accettazione del paziente in una struttura sanitaria (pubblica o privata) viene concluso un contratto atipico di spedalità, avente ad oggetto non solo le cure mediche e chirurgiche, generali e specialistiche, ma anche ogni altro obbligo accessorio e strumentale alle prestazioni di diagnosi e di cura, come apprestare personale medico ausiliario e personale paramedico, i medicinali e tutte le attrezzature necessarie, oltre alle prestazioni latu sensu alberghiere (ed agli obblighi concernenti il consenso informato, su cui cfr. a ciò deriva una responsabilità dell'ente "per fatto proprio", ovvero qualora la struttura sanitaria risulti inadempiente agli obblighi integrativi e suppletivi rispetto a quello di fornire il trattamento diagnostico e terapeutico corretto.

La struttura sanitaria risponde, in altri termini, non solo nel caso in cui il danno subito dal paziente sia riconducibile dal negligente operato del proprio personale dipendente, ma anche qualora il danno sia riconducibile a un difetto della strumentazione in suo possesso e/o ad una disfunzione del suo apparato strutturale ed organizzativo.

Inquadrata nell'ambito contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria e del medico, nel rapporto con il paziente, il problema del riparto dell'onere probatorio deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, ovvero comporta l'applicazione dei principi generali di cui all' art. 1218 c.c. in tema di ripartizione dell'onere della prova, nonché di quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite) con la sentenza n. 13533 del 30/10/2001.

L'art. 1218 c.c., in tema di inadempimento contrattuale, prevede che il debitore inadempiente è tenuto al risarcimento del danno salvo che non provi che l'inadempimento della prestazione o il ritardo nell' adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Le Sezioni Unite hanno poi specificato che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento.

Analogo principio è stato enunciato con riguardo all'inesatto adempimento, rilevando che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento.

La giurisprudenza delle Sezioni Semplici di Cassazione, applicando detti principi all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico, ha stabilito che grava sull'attore (paziente danneggiato che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria) provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente (ai sensi dell'art. 1176, comma II c.c. e, se necessario, la difficoltà dell'intervento, se vuole invocare il parametro di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c.), che l'inadempimento non vi è stato (ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante) e/o che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

Porre a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova dell'esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della "vicinanza della prova", inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla.

Secondo detto principio, l'onere della prova va posto a carico del soggetto nella cui sfera si é prodotto l'inadempimento e che é quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore.

Infatti, poiché l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia "vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto.

L'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni sanitarie non è peraltro qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno.

Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere adun inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno".

La ripartizione dell'onere probatorio, inoltre, non risente più della distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, non adeguandosi alle ipotesi di prestazione d'opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni.

Il meccanismo di ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale è infatti identico, sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione (ex art. 1453, c.c.), sia che domandi il risarcimento per l'inadempimento contrattuale (ex art. 1218, c.c.), senza richiamarsi alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato.

Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza è ormai unanime nello stabilire che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione o implicante problemi tecnici di particolare complessità non rileva ai fini del riparto dell' onere probatorio, dovendo essere apprezzata unicamente per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà.

Tanto premesso, nella specie, dalle emergenze processuali si evince che l'attore ha provato l'inesattezza dell'adempimento per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza da parte dei sanitari, l'aggravamento della situazione patologica e l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento.

Viceversa, i convenuti a carico dei quali grava l'onere probatorio in ordine alla assoluta inesistenza di complicanze e dei danni all'addome alla gamba dx riferiti dal paziente, ossia l'avvenuto, esatto adempimento, nulla hanno approvato né documentalmente né a mezzo di testi che anzi hanno rinunciato.

E' pacifico il rapporto contrattuale costituitosi tra l'attore e la struttura ospedaliera di Ostuni convenuta all'atto del ricovero.

Ha spiegato il CTU con motivazione diffusa e coerente ed apparentemente immune da vizi logici, che: una volta eseguito l'intervento chirurgico di ernia plastica dx in data 28.5.2008, i sanitari del predetto reparto dell 'ospedale civile di Ostuni provvedevano a rimuovergli i punti di sutura e, senza tener conto dei persistenti disturbi lamentati dallo stesso continuavano a non effettuare alcun controllo, solo in occasione di un controllo ecografico ambulatoriale del 18 luglio successivo, venne riscontrata l'atrofia del testicolo destro ulteriormente confermata anche in coincidenza di un controllo urologico effettuato nel settembre 2003 presso l'Ospedale di Brindisi.

Riferisce il CTU che se contrariamente alla inesistenza di complicanze sostenuta dalle parti convenute : " invece come afferma parte attrice dopo l'intervento vi fu effettivamente la formazione di un vastissimo ematoma esteso a gran parte dell'addome e della gamba dx fino al ginocchio con successivo gonfiore localizzato all'altezza dell'emiscroto dx sarebbe stato doveroso un tempestivo intervento di drenaggio della raccolta ematica e di ispezione del fascio vascolare ciò che molto probabilmente avrebbe evitato il persistere della compressione vascolare, la congestione dell'organo e l'evoluzione verso l'atrofia del testicolo ".

Ebbene, poiché, i debitori convenuti pur gravati dall'onere della prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente, nulla hanno provato, sicchè sempre secondo quanto affermato dal CTU: " si dovrebbe concludere che il comportamento dei chirurghi dell'ospedale di Ostuni è stato omissivo poiché non descrissero il vasto ematoma addominale esteso all' emiscroto ed all'arto inferiore di destra e non provvidero ad evacuarlo ispezionando, nel contempo, il fascio vascolare spermatico sempre nel caso di conferma della versione di parte attrice si dovrebbe concludere che alla condotta censurabile appena descritta sono conseguiti ... 1'atrofia del testicolo destro equivalente alla perdita dell'organo, valutabile alla stregua di danno biologico permanente nella misura deI5%..

A conferma di quanto assunto da parte attrice soccorrono le dichiarazioni rese in sede di prova testimoniale.

In particolare il teste D.A.C., dichiara" ricoverato negli stessi giorni del sig. N. e mi trovavo nella stessa stanza del reparto di Chirurgia.

Sono stato operato subito dopo il sig. N. sempre per ernia inguinale ... posso riferire che risvegliatomi dall'anestesia dopo essere stato sottoposto ali 'intervento di cui innanzi ed essere tornato nella stanza di degenza, ho sentito il sig. N.G. che si lamentava ed imprecava.

Ho chiesto il motivo di tale lamentela al che lo stesso N. abbassandosi il pigiama, mi faceva vedere un evidente gonfiore dei testicoli con arrossamento degli stessi ed annerimento della gamba destra sino al ginocchio nonché dell'addome ... sono a conoscenza che il N. più volte, si lamentava con i medici e gli infermieri dei problemi solo sopra lamentati preciso che fui dimesso dopo 3-4 giorni dall'intervento, sino al momento delle dimissioni il sig. N. lamentava gli stessi problemi fisici lamentati ovvero sia l'annerimento della gamba fino al ginocchio, annerimento dell'addome e gonfiore dell'emiscroto ... preciso comunque che al momento delle mie dimissioni il N. presentava gli stessi problemi da me innanzi riferiti.

Preciso che nella stanza di degenza il letto dove ero ricoverato io era posizionato entrando sulla sinistra mentre quello del sig N. era di fronte al centro; nella stanza c'erano sei letti.

Quando il sig. N. si lamentava io mi alzavo dal letto sono andato vicino al letto del N. ed ho constatato personalmente i problemi fisici dallo stesso patiti, già da me riferiti.

Ricordo che il sig N. si alzava dal letto per poco tempo, poteva fare pochi passi e quando camminava si lamentava perché avvertiva dei dolori.

Il teste E.V. dichiara:" dopo 2-3 giorni dall'intervento ebbe a constatare personalmente i problemi fisici patiti dal N. ed in particolare " un ampio annerimento dell'addome, della gamba destra sino al ginocchio e il gonfiore ai testicoli". Successivamente venne a conoscenza che i problemi lamentati persistevano anche dopo le dimissioni dall'ospedale".

Dello stesso tenore le dichiarazioni del teste N.C.:" ebbe a constatare dolori gonfiori, annerimento ecc. nello stesso giorno dell'intervento ed ancora dopo le dimissioni dall' ospedale per alcuni mesi.

Quanto, infine a S.G. anch'egli ricoverato contemporaneamente a N. sempre per ernia, conferma di aver constatato l'annerimento dell'addome alla gamba".

Tuttavia il CTU osserva che: in atti non vi è traccia né della complicanza post chirurgica (ampio annerimento di gran parte dell'addome e della gamba cix fino al ginocchio con successivo gonfiore localizzato all'altezza dell'emiscroto six) ...

A questo punto risulta accertata che la cartella clinica, che consiste in un diario giornaliero nel quale gli operatori sanitari registrano tutte le informazioni riguardanti lo stato di salute del paziente, la diagnosi, le terapie, le analisi e gli accertamenti strumentali cui esso viene sottoposto, non è stata regolarmente compilata.

In proposito la Suprema Corte: le omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale contenuta nell'art 1176 comma II c.c. sia come nesso eziologico presunto, posto che l'imperfetta compilazione della stessa non può, in via di principio, risolversi in danno di colui che vanti un diritto in relazione alla prestazione sanitaria ( Cass. n.1538/2010).

In caso di azione risarcitoria per responsabilità medica la difficoltà o impossibilità di ricostruire la condotta medica per mancata o incompleta redazione della cartella clinica non può andare a detrimento del danneggiato ma, anzi, è essa stessa sintomo di inesatto adempimento e fa presumere la sussistenza del nesso di causalità tra condotta colposa del medico e la patologia accertata in capo al danneggiato.

La Corte di Cassazione, infatti, "... chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto (Cass. civ., 3a, 21 luglio 2003, n. 11316; Cass. civ., sez. un. Il gennaio 2008, n. 577), vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico - ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell'esecuzione delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale ex art. 1176 cod. civ. - controllare la completezza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati (confr. Cass. civ. 3 18 settembre 2009, n. 20101).

In proposito è stato segnatamente precisato come la difettosa tenuta della cartella non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell' onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla (Cass. civ. sez. un. Il gennaio 2008 n. 577)".

Orbene la condotta omissiva ed il ritardo diagnostico, non rispondenti a diligenza professionale ex art. 1176 - 2 co. c. civ., si pongono allora in relazione causale rispetto alle conseguenze lesive in concreto verificate si ematoma addominale esteso alla gamba dx con perdita funzionale del testicolo dx.

Occorre ricordare che, in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza il nesso eziologico tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente può dirsi sussistente, qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificato si, in esso compreso l'aggravamento della malattia (Cass. 11/512009 n. 10743; id. 4 marzo 2004 n. 4400; id. 23 settembre 2004 n. 19133; id. 11 novembre 2005 n. 22894; id. 21 gennaio 2000 n. 632); e tale possibilità è da stimarsi in base alla regola della normalità causale, vale a dire del "più probabile che non" (cfr. Cass. 16110/2007 n. 21619 - id. 9/6/2011 n. 12686).

Se ne deduce, facendo applicazione di tale criterio, che la condotta omissiva dei sanitari che ebbero in cura l'attore presso il nosocomio di Ostuni ha avuto rilevanza causale nell'atrofia del testicolo destro equivalente alla perdita dell'organo, in quanto non ha impedito che le conseguenze lesive dell'infortunio assumessero la loro concreta gravità, mediante una pronta evacuazione dell' ematoma addominale esteso all' emiscroto e nel contempo ispezionando, il fascio vascolare spermatico, che, secondo quanto accertato dal CTU, sarebbe stata praticabile in caso di tempestiva diagnosi.

Dalla descritta condotta omissiva colposa discende l'obbligo risarcitorio solidale ex art. 2055 - 1 co. c. civ. dei convenuti, in base ai principi ed al regime probatorio della responsabilità contrattuale.

Occorre ora risalire all'intero danno subito dall'attore a seguito del comportamento colposo dei convenuti per stabilire, quello richiesto con la domanda.

In conclusione il, CTU ha stimato i postumi permanenti residuati all'attore, nella misura del 5% "per atrofia del testicolo destro, equivalente alla perdita dell'organo".

L'invalidità temporanea totale (LT.T.) al 100% di giorni 25 e l' ITP di giorni 40 al 50% e ulteriori 20 giorni al 25%.

Risulta, inoltre, provata, nella specie anche l'ulteriore figura descrittiva del danno non patrimoniale, individuata dalle Sezioni Unite della Cassazione del 2008, nel danno morale.

Orbene con questa pronuncia la Cassazione ha ritenuto che, nell'ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la " formula danno morale" non individua una sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva in sé considerata.

Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell' esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

Superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transuente, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare ( ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile.

Nella fattispecie concreta, il giudicante, sulla base delle allegazioni, ritiene, pertanto, che la "voce" del danno morale intesa come "sofferenza psichica" debba essere adeguatamente risarcita, in considerazione del danno subito dall'attore.

Si ritiene opportuno applicare, al caso di specie, ai fini della valutazione del danno individuato dal CTU i criteri fissati dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano per il 20 Il dal momento che sempre la Suprema Corte, III sez., con la recente sentenza n. 12408 del 7.6.2011, ha precisato che "i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale, costituiscono d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi "equo", e cioè quello in grado di garantite la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità".

Queste tabelle individuano il nuovo valore del C.d. "punto" muovendo dal valore del "punto" delle Tabelle precedenti (connesso alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, C.d. danno biologico permanente), aumentato in riferimento all'inserimento nel valore di liquidazione "medio" anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva" di una percentuale ponderata (dall'l al 9% di invalidità l'aumento è del 25% fisso, dal l0 al 34 % di invalidità l'aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l'aumento torna ad essere fisso al 50%), e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di C.d. personalizzazione.

Applicando le predette tabelle, nella specie, tenuto doverosamente conto che è stata riconosciuta all'attore una percentuale invalidante del 5%, invalidità temporanea totale di giorni 25 ed una invalidità temporanea parziale al 50% di giorni 40 e al 25% giorni 20, il danno non patrimoniale ( danno biologico più morale) deve essere quantificato in € 5455,00 in relazione all'età di 74 anni dell' attore.

Quanto, invece al calcolo del danno da inabilità temporanea, in applicazione dei suddetti valori tabellari e prendendo come riferimento il valore minimo di € 91,00 pro die , si quantifica in € 2.275,00, l'ITT giorni 25; € 1820,00 l'ITP al 50% , giorni 40 e al 25% giorni 20 € 455,00;

In totale, per i danni su indicati vanno liquidati al sig. N.G. complessivi € 10.005,00 che derivano dalla liquidazione complessiva del pregiudizio.

Rigetta ogni altra domanda di risarcimento danni in quanto non sufficientemente provata.

Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Spese CTU definitivamente a carico dei convenuti in solido

P.Q.M.

Il Tribunale di Brindisi, Sez. Distaccata di Ostuni, definitivamente pronunciando sulla causa promossa da N.C. nei confronti di AUSL BR/1, nonché nei confronti Dr. T.C. e T.C., così provvede:

1) accoglie la domanda proposta da N.G. nei confronti della Azienda Sanitaria Locale BR/l e Dr. T.C. e Dr. I.D.A. e N.P. per quanto di ragione, e, per l'effetto, condanna la AUSL BR/l in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Dr. T.C., I.D.A. e N.P. in solido tra loro, al pagamento in favore di N.G. della complessiva somma di € 10.005,00 , per le causali in motivazione;

3) condanna la AUSL BR/l in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Dr. T.C. e I.D.A. e N.P. in solido tra loro, in favore di N.G. alla rifusione delle competenze e spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi € 2700,00 di cui 200,00 per spese oltre oneri e accessori di legge.

Spese CTU definitivamente a carico dei convenuti in solido