Assistenza medica e legale contro gli errori medici
I casi di Lecce
Leggi le sentenze dei giudici salentini
Tribunale di Lecce – Sezione civile, dott. Maurizio Rubino – Sentenza n. 2210 del 12 luglio 2013.
Leggi la sentenza per esteso
TRIBUNALE DI LECCE
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
Il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Maurizio Rubino, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 5359/2004 R.G., avente ad oggetto azione di risarcimento danni da responsabilità contrattuale
PROMOSSA DA
I.R., ATTRICE
CONTRO
R.A., CONVENUTO
NONCHE' CONTRO
AZIENDA UNITA' SANITARIA LOCALE LE/l, in persona del suo legale rappresentante p.t., CONVENUTA
NONCHE' CONTRO
OSPEDALE CIVILE "VITO FAZZI" DI LECCE, in persona del suo legale rappresentante p.t., CONVENUTO CONTUMACE
NONCHE' CONTRO
COMPAGNIA ASSICURATRICE UNIPOL S.P.A., in persona del proprio legale rappresentante p.t., CONVENUTA TERZA CHIAMATA IN CAUSA
All' udienza del 17.1.13 la causa veniva posta in decisione previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., sulle conclusioni rassegnate dalle parti, come da relativo verbale in atti.
MOTIVAZIONE
Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della legge 18 giugno 2009 n. 69, applicabile anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di tale legge di modifica (4 luglio 2009) ai sensi dell'art. 58 co. 2 della stessa legge, la presente sentenza viene motivata attraverso una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
La presente causa ha per oggetto la domanda, proposta da I.R., nei confronti di R.A., dell'Ospedale civile "Vito Fazzi" e dell' AUSL LE II, di risarcimento dei danni che l'attrice assume di aver subito in conseguenza della condotta illecita del sanitario convenuto, accertata dal Tribunale di Lecce, con sentenza n. 565/2000, depositata in data 3.6.2000, con cui veniva posta a carico del R. ed in favore della I., costituitasi parte civile, la somma di venti milioni di lire, a titolo di provvisionale.
La I. procedeva ad istaurare il presente giudizio al fine di ottenere la quantificazione del danno il cui accertamento il giudice penale demandava in sede civile, assumendo di avere diritto al risarcimento del danno morale derivante da morte prematura del feto; danno psichico derivante dalla depressione conseguente a tale evento; danno esistenziale derivante dall'impossibilità di avere altre gravidanze in assenza di figli; danno biologico in misura non inferiore al 20%; danno biologico da ITT pari a 40 giorni; danno morale nella misura del 50% del danno biologico.
Premetteva l'attrice
di essersi recata, in data 9.8.95 alle ore 21.40, presso il P.S. dell' ospedale civile "Vito Fazzi" di Lecce, accusando forti dolori addominali e convinta della possibilità di un parto prematuro, essendo alla trentaduesima settimana di gravidanza;
di essere stata inviata alla Divisione di ginecologia e ostetricia dove il dott. R.A. la visitava e la ricoverava per la notte, riscontrando assenza del battito cardiaco fetale;
di essere rimasta sola, senza alcuna assistenza sanitaria, fino alle 8.20 del mattino successivo, nonostante le forti perdite emorragiche che aveva subito nella notte;
che il nuovo medico di turno, il dott. L.G., la sottoponeva a esame ecografico e, immediatamente dopo, ad intervento operatorio di urgenza, effettuando un taglio cesareo, che poneva l'attrice in una situazione gravemente rischiosa per la sua salute e cagionandole delle lesioni personali, accertate in sede penale;
che, dalla mancata diagnosi tempestiva e dal ritardo nell'intervento di parto cesareo, ascrivibili al R., inoltre, discendevano eventi pregiudiziali consistenti nella morte del feto, nell'infezione da virus dell'epatite A e B, nella sterilità secondaria.
Si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese attoree, R.A., la AUSL LE II, nonché la Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.a., chiamata in causa dal sanitario convenuto.
L'Ospedale "Vito Fazzi" di Lecce, invece, benché ritualmente citato, non si costituiva in giudizio, per cui occorre dichiarane la contumacia, non essendo ciò stato fatto nel corso del processo.
La domanda attore a merita accoglimento nei limiti appresso indicati.
In primo luogo, deve preliminarmente rigettarsi l'eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sollevata dal R., in relazione al danno da morte prematura del feto.
Difatti, qualificando, alla luce della più recente giurisprudenza (tra le altre, Cass. n. 8826/2007), la natura della responsabilità del sanitario quale responsabilità da contatto sociale e, dunque, come danno da inadempimento contrattuale il pregiudizio eventualmente lamentato dall'utente del servizio sanitario - la domanda giudiziale circa l'accertamento della responsabilità del sanitario non risulta prescritta, essendo stata esercitata nel 2004, ossia nove anni dopo il presunto inadempimento.
Passando al merito, occorre stabilire se, in conseguenza della condotta posta in essere dal convenuto, sia ascrivibile a carico del R.A. la responsabilità civile in ordine ai pregiudizi, di natura patrimoniale e non, lamentati da parte attrice; precipuamente, se sussista nesso causale tra le lesioni lamentate dalla I. (morte del feto, sterilità secondaria e infezione da virus epatite A e B) e l'agere del sanitario.
Per quanto concerne la domanda di ristoro del danno non patrimoniale da morte prematura del feto, il Tribunale ritiene che la domanda sia infondata e che debba essere rigettata.
È da dirsi che la sussistenza o meno di una responsabilità del R. per la prematura morte del feto non ricade nel fatto - reato accertato in sede penale e coperto dal relativo giudicato ma, essendo il relativo accertamento demandato interamente al giudice civile, dovrà essere effettuato secondo i criteri e le regole utilizzate in materia civile, in ossequio ai dettami della più recente giurisprudenza di legittimità, per stabilire l'esistenza o meno delle connessioni eziologiche tra condotta, evento e danno.
Ciò significa adottare, nell'accertamento del nesso causale, il criterio del più probabile che non, al contrario di quanto è tenuto a fare il giudice penale, il quale deve osservare la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", con conseguente preponderanza del criterio della probabilità prossima alla certezza (Cass. SS.UU. 5786/2008 e, più recente, n. 16123/2010).
Il principio della causalità adeguata sopra enunciato, nelle ipotesi di causalità omissiva, che qui ricorre, implica la sussunzione della fattispecie concreta all'interno di un ragionamento di tipo logico deduttivo, del cd. doppio periodo ipotetico dell'irrealtà, secondo cui, una volta accertata la condotta omissiva dell' agente, occorre anche ricercare quale sarebbe dovuta essere la condotta, attiva, conforme a diligenza esigibile da parte del danneggiante, onde ritenere - con un secondo ordine di ipotesi, stavolta puramente astratto - che, se positivamente posta in essere, l'evento lesivo non avrebbe avuto luogo, o che, meglio, sia più probabile che non, che avrebbe avuto luogo.
Alla luce delle risultanze probatorie, la fattispecie sub iudice non resiste alla prova del ragionamento logico - probabilistico sopra esplicato.
Difatti, risulta che, in data 9.8.1995, la I., alla trentaduesima settimana di gravidanza, si recava, assieme alla madre, D.L.G., e al marito, L.A., presso l'Ospedale "Vito Fazzi'' di Lecce, lamentando forti dolori addominali e riferendo di non avvertire movimenti fetali dal giorno precedente, come risulta anche in sede di anamnesi.
Veniva quindi visitata dal medico di turno, R.A., che la auscultava e riportava al foglio 76 della cartella clinica "battito cardiaco fetale assente" e, successivamente, la ricoverava, somministrandole una terapia farmacologica per indurre il parto spontaneo.
Per esplicita ammissione di parte attrice, confermata anche durante l'istruttoria svolta in sede penale, la I. e la madre di lei insistevano nel proporre al medico l'intervento di parto cesareo, per "Iiberarla" dal feto morto, tuttavia il R. si rifiutava, ritenendo che bisognasse attendere il parto spontaneo.
Dall' l.00 di notte alle 8.20 del giorno seguente, ossia il 10.8.95, la I. fu soggetta a copiose perdite emorragiche, e rimase priva di qualsivoglia assistenza sanitaria che non fosse quella dell'infermiera del reparto che provvedeva a cambiarle le lenzuola intrise di sangue.
Alle 8.20 del 10.8.95, il medico del turno successivo, dott. L.G., venuto a conoscenza della circostanza riferitale dalla ricoverata, prescriveva immediatamente un esame ecografico, che permetteva di riscontrare un voluminoso ematoma retro placentare, cosicché immediatamente le praticava d'urgenza un intervento di parto cesareo.
Ciò è quanto riportato anche nella relazione tecnica d'ufficio a firma del dott. Ivano Marchello, il quale, incaricato di stabilire se vi fosse un nesso causale tra la morte del feto e la condotta omissiva del R., rispondeva negativamente a tale quesito, ritenendo che "sia l'ematoma retro placentare, l'anemizzazione che la CID, rappresentano complicanze evolutive della gestosi ipertensiva che portò al distacco della placenta e alla morte endouterina del feto".
Appare dunque più probabile che la morte del feto sia ascrivibile non al comportamento del medico convenuto, ma che si fosse verificata ancor prima che l'attrice fosse sottoposta alle sue cure, con l'ovvia conseguenza che l'esecuzione di un'ecografia ed il parto cesareo, quand'anche tempestivamente praticati, non avrebbero potuto impedire il predetto evento.
Infatti, secondo quanto riferito dalla stessa attrice, dai testimoni presenti, dal R. medesimo in cartella clinica sulla base delle dichiarazioni rese dalla Invidia (e recepite nella parte in cui, peraltro, la cartella clinica non risultava essere corpo del reato di falso in sede penale), nonché alla luce di quanto accertato dal c.t.u. dott. Marchello, la morte del feto, con ogni probabilità, fu dovuta a cause naturali, in particolare a gestosi ipertensiva, da cui sembrava essere affetta la I. al momento del fatto per cui è causa, e precedette la prestazione medica eseguita dal convenuto, in tal senso deponendo la circostanza che, all'arrivo in ospedale, risultava già assente il battito cardiaco fetale e che già da molte ore prima la Invidia non avvertiva più alcun movimento del feto.
In secondo luogo, alla luce della scienza e della letteratura mediche citate dal c.t.u. e riportate in atti, in presenza del quadro clinico palesatosi al momento del ricovero della I. mancata percezione dei movimenti fetali da parte della madre e mancato riscontro del battito cardiaco fetale - attendere il parto spontaneo piuttosto che praticare immediatamente il taglio cesareo risultava essere la soluzione più corretta al momento dell'ingresso della Invidia presso l'ospedale convenuto, non presentando, la stessa, alcuna emorragia.
Ciò che il medico avrebbe dovuto fare e non fece, era sottoporre la I. ad un esame ecografico, onde avere la certezza della diagnosi e, di conseguenza, della terapia da seguire, nonché tenere costantemente sotto il suo controllo la paziente, in maniera da programmare, se del caso, l'intervento operatorio - che il dott. L. fu poi costretto a praticare in via di urgenza - sin da quando, all' 1.00 circa della notte, l'attrice cominciò ad avere le perdite emorragiche.
Tuttavia, come già evidenziato, è ragionevole ritenere che, quand'anche il R. avesse posto in essere la condotta esigibile secondo la diligenza richiesta dal professionista del settore, l'evento dannoso non sarebbe stato evitato, ossia la morte del feto si sarebbe in ogni caso verificata, poiché, con grande probabilità, era già avvenuta.
Non sussistendo nesso di causalità tra condotta omissiva del medico convenuto - mancata tempestiva diagnosi e mancato intervento operatorio - ed evento, ossia la morte fetale, non risulta integrato il presupposto necessario per ritenere esistente il diritto al risarcimento del danno morale che si assume discendere dall'evento medesimo onde pervenire all'accoglimento della relativa domanda attorea, che va, con riferimento a detto pregiudizio, conseguentemente rigettata.
Neppure può dirsi fondata, per insussistenza del nesso causale tra condotta ed evento, la domanda di risarcimento del danno conseguente all'infezione dei virus dell'epatite A e B da cui è affetta la I.
Risulta, agli atti, che la I., in occasione dell'intervento di parto cesareo, subì tre emotrasfusioni, alle quali parte attrice assume sia causalmente collegata l'infezione ai virus dell'epatite A e B, riscontrata tra il 10.8.95 e il 12.8.95 (in particolare, lo HbsAg era positivo al test effettuato in data 10.8.95, mentre l'HbcAb al test del 12.8.95).
Il ristrettissimo lasso temporale tra la prima trasfusione, eseguita alle ore Il.45 del 10.8.95, ossia lo stesso giorno in cui fu eseguito il test da cui la I. risultava essere positiva all'HbsAg, e l'accertamento diagnostico della positività ai virus dell'epatite A e B appare ictu oculi inadeguato per poter essere considerato quale sufficiente periodo di incubazione del virus riscontrato, posto che, come si legge nella più volte citata relazione peritale a firma del dott. Marchello, "l'epatite che insorge in corso di epidemia e quella che fa seguito ad una trasfusione di plasma o di sangue hanno un periodo di incubazione diverso, nel senso che nel primo caso l'incubazione ha una durata che oscilla fra le due e le sei settimane, con una media intorno ai trenta giorni, mentre nel secondo caso va da uno a sei mesi, con una media intorno a tre mesi".
Ciò basta ad escludere che vi sia connessione causale tra le trasfusioni subite in occasione dei fatti per cui e causa e l'insorgenza della patologia, essendo di tutta evidenza che l'attrice ne fosse già affetta al momento del ricovero presso il "Vito Fazzi", con conseguente esclusione di ogni profilo di responsabilità dei convenuti.
Anche con riferimento al pregiudizio derivante dalla suddetta patologia la domanda di parte attrice, pertanto, non può trovare accoglimento e deve essere rigettata.
Ugualmente per ciò che attiene alla lamentata lesione da sterilità secondaria procurata quale complicanza dell'intervento di parto cesareo praticato dal dott. L. in conseguenza del ritardo nell' adempimento sanitario imputabile al dott. R., parimenti insussistente risulta essere il nesso eziologico tra condotta omissiva del medico (mancata tempestiva diagnosi e mancato intervento di taglio cesareo programmato) ed evento lamentato dalla I.
Difatti, risulta, agli atti, che parte attrice, tra il 200l e il 2002, si sottoponeva ad una serie di accertamenti specialistici, in quanto, dopo l'intervento dell'agosto del 1995, non riusciva più a rimanere incinta.
Come si apprende dalle emergenze probatorie, tuttavia, nel 2002, il dott. D'E., richiesto da parte attrice di interpretare i risultati degli esami clinici cui la I. si era sottoposta, riteneva testualmente che: "in base a tali elementi è possibile dedurre che gli elementi essenziali per una fecondazione sostanzialmente sono possibilistici per una fecondazione naturale anche se questa potrebbe essere condizionata da una possibilità di una persistenza del fattore infettivo (Trichomonas e Microplasma) per la quale è bene che venga eseguito un rinnovo tampone vaginale al fine di accertare la definitiva scomparsa dell'infezione descritta ".
Non furono effettuati ulteriori successivi accertamenti onde indagare la persistenza e l'eventuale possibile causa della sterilità secondaria lamentata dalla I., come anche relazionato in sede di c.t.u. del dott. Marchello, il quale conclude per l'esclusione del nesso causale tra il tardivo intervento chirurgico di parto cesareo e l'assenza di concepimento dal 1995 al momento della proposizione della domanda giudiziale.
Secondo il predetto consulente, infatti, la sterilità secondaria deve essere riferita "più verosimilmente a malattia infettiva cervico-vaginale, essendo le indagini eseguite nel 2002 per utero e annessi negative con ovulazione presente, endometrio secretivo, pervietà tubarica presente, mentre l'esame colturale risultava positività per presenza di Trichomonas e Micoplasma nel canale cervico-vaginale ".
Anche con riferimento a tale pregiudizio, dunque, la domanda attorea non può essere accolta per insussistenza del nesso causale tra sterilità secondaria e condotta omissiva del medico.
Diversamente è da dirsi per ciò che concerne le lesioni sofferte dalla I. in occasione del ricovero e dell'intervento di parto cesareo praticato in via d'urgenza dal medico subentrante al R., dott. L., il quale, alle 8.20 del 10.8.95, come detto, non appena montato di turno, eseguiva esame ecografico e, riscontrando un voluminoso ematoma retro placentare, nonché un vistoso stato anemico della paziente, si determinava per l'intervento chirurgico di urgenza.
In proposito il dott. Marchello ha affermato di condividere le conclusioni cui, già in sede di consulenza tecnica disposta nel giudizio penale, erano pervenuti i consulenti della pubblica accusa, secondo i quali in seguito al ritardato trattamento di taglio cesareo "si realizzò una sindrome da coagulazione intravasale disseminata (CID), una apoplessia uterina (con isterectomia evitata in extremis) ed un gravissimo stato anemico (tre emotrasfusioni) con conseguente maggior rischio operatorio, maggior durata della degenza ospedaliera e dei tempi di convalescenza".
Occorre precisare che l'accertamento dell' esistenza del fatto presupposto del diritto al risarcimento del danno lamentato dalla Invidia conseguente alle lesioni personali colpose subite a causa della condotta omissiva del R. è coperto da giudicato penale e, precisamente, dalla sentenza del Tribunale di Lecce n. 565/2000, che, ai sensi e nei limiti dell' art. 651 C.p.p., ha efficacia di giudicato nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato, ovvero sia intervenuto nel processo penale "quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso".
Si legge, in particolare, nella sentenza del Tribunale di Lecce - secondo collegio penale, che "la sig.ra I.R., ricoverata alla 32^ settimana di gravidanza presso il reparto di ginecologia ed ostetricia dell'Ospedale "Vito Fazzi" di Lecce alle ore 21.40 del 9 agosto 1995, riportò lesioni consistite in:
Coagulopatia intravascolare disseminata (cd. CID); Apoplessia uterina;
Gravissimo stato anemico;
le quali determinarono, nell'immediato, la necessità di intervenire con taglio cesareo urgente (con maggior rischio operatorio ed isterectomia evitata in extremis) e, successivamente, la necessità di sottoporre la paziente ad un trattamento trasfusionale, nonché, più in generale, il conseguente prolungamento della degenza ospedaliera fino al 28.8.95 (e cioè ben oltre i normali 6-7 giorni di degenza occorrenti a seguito di intervento di taglio cesareo), e l'incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di almeno 15 gg. successivamente alle dimissioni" (pag.20).
Secondo la recente interpretazione della giurisprudenza di legittimità, l'art. 651 c.p.p. lascia libero il giudice civile di valutare autonomamente, oltreché i profili attinenti alla colpevolezza, anche le qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l'individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile (Cass. n. 14648/20 Il).
Da ultimo va rilevato che non osta all'accertamento della sussistenza di un danno risarcibile e ad una sua autonoma liquidazione da parte del giudice civile la circostanza che il giudice penale abbia condannato il Ripa al pagamento, in favore della Invidia, di una provvisionale di e. 20.000.000.
Ciò in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza, la condanna al pagamento di una provvisionale costituisce un provvedimento di natura parziale e provvisoria, che anticipa in sede penale la valutazione definitiva della sussistenza del danno, ma che non fa stato, per sua natura, nel processo civile di liquidazione ed è viceversa destinato ad essere sostituito dall'integrale risarcimento del danno (v. Cass., IV Sez. Pen., n. 32286/2006; Cass., VI Sez. Pen., n. 9266/1994).
Ciò premesso, questo Giudice ritiene sussistente il diritto al risarcimento del danno lamentato dalla I. in conseguenza delle lesioni sofferte per la mancata diagnosi tempestiva da parte del Ripa, che provocava la necessità di intervenire d'urgenza con un operazione di parto cesareo, cagionando le complicanze sopra riportate.
La condotta posta in essere dal sanitario, infatti, in occasione del ricovero della I. presso la struttura ospedaliera "Vito Fazzi", può dirsi gravemente colposa, sotto il profilo, oltreché della negligenza manifestata mediante la tenuta lacunosa della cartella clinica, nell'imprudenza estrinsecatasi nello stato di incuria e di abbandono in cui la I. fu lasciata per buona parte della notte che seguì il suo ricovero, in relazione alle circostanze concrete ed in relazione ad un caso che non importava problemi tecnici di speciale difficoltà.
La perizia con cui il successivo medico, dott. L., eseguiva l'intervento operatorio, andando ad evitare di praticare l'isterectomia e scongiurando in gran parte i rischi connessi all'intervento, non vale ad escludere né la colpevolezza del R., né il nesso causale tra le lesioni riportate e documentate dall'attrice e la condotta omissiva del convenuto.
A causa del comportamento colposo del R., l'attrice soffriva un prolungamento della degenza ospedaliera di venti giorni, in quanto la stessa restava ricoverata in ospedale dal 9.8.95 al 28.8.95, ossia 13 giorni in più rispetto ai 6-7 occorrenti a seguito di un intervento di taglio cesareo, cui si aggiungono ulteriori 15 giorni, dopo le dimissioni, in cui la I. risultava incapace di attendere alle proprie ordinarie occupazioni, come si legge nella relazione di c.t.u. a firma del dott. Marchello, nella sentenza del Tribunale di Lecce n. 595/2000 e nella relazione dei consulenti tecnici del P.M., dott.ri Caroli-Casavola e Petrachi.
In altre parole, per ventotto giorni, l'attrice era costretta in una situazione di inabilità totale, circostanza che comporta la risarcibilità del danno procuratole dalla condotta colposa del convenuto, che il Tribunale ritiene di liquidare, sulla scorta delle tabelle attualmente in uso presso il Tribunale di Milano, in misura pari ad € 144,00 per ogni giorno di totale inabilità, e, quindi, complessivamente, in € 4.032,00, avendo il c.t.u. escluso che siano scaturite, dalla negligente condotta del sanitario, menomazioni specifiche permanenti, onde utilmente liquidare ulteriori voci di danno alla salute.
In proposito va in primo luogo rilevato che l'utilizzo delle predette tabelle appare assolutamente opportuno innanzitutto in considerazione del fatto che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza n. 12408/2011, gli importi in essa contenuti costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza della Corte, il valore da ritenersi "equo", e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità.
In secondo luogo occorre evidenziare che anche per ciò che concerne il danno da inabilità temporanea le predette tabelle prevedono la liquidazione congiunta di detto pregiudizio nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi, e del danno non patrimoniale conseguente al medesimo pregiudizio in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione, in termini oggettivamente standardizzabili, poiché normalmente ricorrenti, salva possibilità di personalizzazione in aumento, nell'ipotesi in cui ricorra un vulnus alla vita di relazione ovvero una sofferenza soggettiva di maggiore intensità, vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di così detto danno biologico "standard" e di così detto danno morale, apparendo dunque conformi ai principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella nota sentenza 26972/2008.
Nel caso di specie, ritiene, il Tribunale, che l'aumento massimo dell'importo liquidabile per ogni giorno di inabilità temporanea previsto dalle citate tabelle si giustifichi in considerazione della particolare intensità della sofferenza che l'attrice deve aver provato per tutto il periodo di degenza ospedaliera e post ospedaliera ricordando la paura ed il senso di umiliazione e frustrazione provati per essere stata abbandonata a se stessa per una notte intera, in preda ad una copiosa emorragia e straziata dal dolore derivante dall'aver appreso della morte del feto che portava in grembo.
Il R. va dunque condannato al pagamento, in favore dell' attrice, della somma 4.032,00 a titolo di risarcimento del danno alla stessa arrecato con la propria condotta illecita.
Essendo l'importo del risarcimento stato quantificato in moneta attuale, la predetta somma va devalutata alla data in cui l'attrice ha subito il pregiudizio con essa risarcito e rivalutata annualmente secondo gli indici I.S.T.A.T. F.O.I. e, sugli importi derivanti dalla predetta rivalutazione annuale, vanno applicati gli interessi legali fino alla data della presente pronuncia, a far tempo dalla quale decorreranno i soli interessi legali sulla somma complessiva, come sopra determinata, fino al soddisfo.
Ancora, il Tribunale, ritenuta l'infondatezza dell'eccezione proposta dalla Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a., circa la presunta prescrizione del diritto alla garanzia azionato dal R.A. mediante la chiamata in causa della società convenuta, accoglie la domanda di manleva spiegata dal medico convenuto nei confronti della compagnia assicuratrice medesima.
Difatti, risulta che la somma di e. 20.000.000,00, a titolo di provvisionale riconosciuta a favore della I., liquidata con sentenza n. 565/2000 e al pagamento della quale veniva condannato R.A., fu versata dalla Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.a., con un atto interruttivo della prescrizione, ai sensi e per gli effetti dell' art. 2944 c.c.
Né vale opporre che la somma in questione sarebbe stata versata per conto della AUSL LE/1, posto che l'ente convenuto non era parte del procedimento penale.
Il riconoscimento del diritto alla copertura assicurativa in capo al R.A. manifestato mediante il pagamento della provvisionale da parte della Unipol s.p.a. vale a rendere infondate le eccezioni della società assicuratrice convenuta, risultando utilmente spiegata la domanda di manleva proposta da R.A. in virtù delle polizze prodotte agli atti, per essere avvenuto nei termini la comunicazione all'assicuratore dell'azione proposta dal terzo danneggiato, ai sensi dell' art. 2952 c.c.
Quanto, infine, alla responsabilità dell'ente ospedaliero convenuto, si rammenta la giurisprudenza di legittimità in materia, secondo la quale "l'ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l'ospedale si avvale" (Cass. n. 1620/2012).
Nel caso di specie, stante il rapporto di lavoro sussistente tra il sanitario e l'ospedale civile "Vito Fazzi" di Lecce, nonché dimostrata la colpevolezza del medico convenuto, ne discende la conseguente responsabilità dell' azienda ospedaliera per i danni subiti dall'attrice nei limiti suddetti.
In considerazione dell'accoglimento solo parziale della domanda, quanto alle spese del giudizio tra le parti principali, liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto dell'aumento ex art. 4, 4° c., D.M. 140/2012, le stesse possono essere compensate per 1/3, dovendo essere poste per i residui 2/3 a carico dei convenuti in solido.
Inoltre, la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a., terza chiamata in causa, è condannata a rifondere a R.A. quanto quest'ultimo sarà tenuto a versare a parte attrice in ragione del capoverso precedente, oltre alle spese del giudizio relativamente al rapporto di garanzia, pure liquidate in dispositivo liquidate in € 1.200,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.
Ricorrono i presupposti perché le spese di c.t.u., già liquidate in via di anticipazione con decreto del 19/29.3.2010, vengano poste per intero a carico dei convenuti in solido, con obbligo per la Unipol s.p.a. di manlevare il R. per quanto quest'ultimo dovesse essere chiamato a versare.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Maurizio Rubino, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 5359/2004 R.G., così provvede:
dichiara la contumacia dell'Ospedale Civile "Vito Fazzi" di Lecce;
in parziale accoglimento della domanda attorea, condanna i convenuti, In solido al pagamento in favore di I.R. della somma di € 4.032,00 a titolo di risarcimento del danno da I.T.T. subito, oltre rivalutazione ed interessi per come chiarito in motivazione; condanna la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. a rifondere al R. quanto quest'ultimo sarà chiamato a versare in ragione della condanna di cui al capoverso precedente;
condanna R.A., l'Ospedale civile "Vito Fazzi", nonché l'Azienda Unità Sanitaria Locale Lecce/1, in solido, a rifondere ad I.R. i 2/3 delle spese e competenze del giudizio, liquidate per intero in € 331,09 per spese vive ed in € 2.700,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge, con compensazione del residuo terzo;
condanna la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. a rifondere al R. quanto quest'ultimo sarà chiamato a versare in ragione della condanna di cui al capoverso precedente, nonché le spese e competenze sostenute dallo stesso R., liquidate in € 1.200,00 per compenso professionale complessivo, oltre accessori di legge;
pone in via definitiva le spese di c.t.u., già liquidate nel corso del giudizio con decreto del 19/29.3.2010, a carico delle parti convenute in solido, con obbligo per la Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a. di rifondere a R.A. quanto quest'ultimo sarà chiamato a versare a tale titolo.
Lecce, 14 giugno 2013