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La responsabilità ospedaliera in caso di difettosa tenuta della cartella clinica.

Orbene, condividendo le conclusioni cui è giunto il ctu, fondate sui dati sanitari acquisiti, e facendo applicazione dei principi sull' onere della prova sanciti dalle pronunce della Cassazione, anche con riferimento alle conseguenze di una difettosa tenuta della cartella clinica, va affermata la responsabilità dell' ASL BR/1 per i danni subiti in occasione di un intervento chirurgico agli occhi.

Tribunale di Brindisi - Sezione Civile - Sentenza n. 500 del 28 Marzo 2011

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REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica, in persona del giudice designato Donatella De Giorgi, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile, in prima istanza, iscritta al n. 2474 del R.G. 1999,

TRA

C. P. e C. S.

 

- attori -

CONTRO

AZIENDA U.S.L. BR/1 in persona del legale rappresentante p. t. (già Azienda ospedaliera A. D. S. di Brindisi) 

- convenuta-

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, ritualmente notificato, C. P. e C. S. convenivano in giudizio l'Azienda Ospedaliera "A. D. S." di Brindisi, esponendo che:

- nel mese di ottobre 1997 C. P. accusando un dolore all'occhio destro si rivolgeva al proprio medico curante dott. A. C., il quale riscontrando un pterigio interno all'occhio, ne disponeva il ricovero presso la divisione oculistica dell' azienda di S., specificando nella prescrizione di ricovero che il paziente era affetto da ipertensione;

- in data 13.10.1997 C. P. veniva sottoposto ad intervento chirurgico praticato ambulatorialmente, previa anestesia con puntura transcutanea effettuata sopra lo zigomo destro;

- durante l'intervento non veniva effettuato alcun monitoraggio della pressione arteriosa, nonostante l'espressa segnalazione di paziente con patologia ipertensiva;

- il giorno successivo all'intervento C. P. ritornava in ospedale per il controllo ma, eliminata la bendatura, non era in grado di vedere dall'occhio operato;

- perdurando tale deficit visivo il medico curante ne prescriveva il ricovero presso l'ospedale di S., avvenuto il 18.11.1997 effettuando numerosi controlli, all'esito dei quali veniva dimesso il 29.11.1997 con diagnosi di otticopatia ischemica anteriore acuta;

- non essendo intervenuti miglioramenti alla vista il sig C. si sottoponeva ad ulteriori controlli presso la divisione oculistica dell'ospedale di S. con diagnosi definitiva di pterigio interno recidivato con subatrofia ottica quale esito di otticopatia ischemica anteriore;

- a seguito di ulteriori controlli effettuati presso altri specialisti si acclarava l'atrofia ottica occhio destro con visus ridotto alla sola percezione della luce, patologia causata alternativamente da un errore nella iniezione retrobulbare ovvero, in una otticopatia ischemica;

- in entrambi i casi il deficit visivo è scrivibile alla negligente condotta del chirurgo, responsabile, nella prima ipotesi, di una ferita diretta sul nervo ottico, in occasione della iniezione retrobulbare di sostanza anestetica; nella seconda ipotesi, di aver omesso di monitorare il paziente nonostante fosse segnalato come affetto da patologia ipertensiva;

- in conseguenza dei fatti di causa C. P. ha subito un danno biologico, morale e patrimoniale;

- un ulteriore danno, biologico e morale, per trauma psichico ha subito la moglie C. S. da quantificare in via equitativa.

Hanno chiesto pertanto accertarsi la responsabilità dell' Azienda Ospedaliera convenuta per negligenza ed incuria dei sanitari della divisione oculistica del P.S. Di S. che effettuarono l'intervento chirurgico del 13.10.1997 sulla persona di C. P., con conseguente condanna al risarcimento del danno patrimoniale, biologico e morale, subito da entrambi gli attori, quantificati, per C. P. in € 132.899 per danno biologico al 30% (come stimato dal ctu dott. M.), liquidato secondo le tabelle di Milano 2009, ulteriori € 44.299,66 per danno morale ed € 1770,62 per spese mediche; per C. S., il danno va equitativamente determinato, oltre interessi e rivalutazione dal sinistro al soddisfo; con vittoria delle spese di lite.

Si costituiva l'Azienda Ospedaliera "A. D. S.", in persona del Direttore Generale e rappresentante legale p.t., che concludeva per il rigetto della domanda, difettando la prova di un nesso causale tra l'intervento chirurgico del 13.10 .1997 e l' otticopatia ischemica anteriore, verosimilmente ricollegabile a patologie cardiocircolatorie; evidenziava altresì l'infondatezza della domanda proposta da C. S.; il tutto con vittoria di spese di lite.

Il giudizio, acquisiti i documenti in atti, disposta ctu medico legale (con notevole dispendio temporale, attese le vari rinunce e/o revoche dei vari ctu nominati), con successive richieste di integrazioni, riassunto il giudizio, interrotto a seguito dell'incorporazione dell' Azienda Ospedaliera "A. D. S." nell' Asl di B., la causa è stata assegnata a questo Magistrato il 16.9.2009 e, all'esito della precisazione della conclusioni, è stata trattenuta in decisione con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La domanda è fondata e merita accoglimento alla luce dei motivi che seguono.

In limine, deve essere ribadito il principio consolidato a mente del quale il rapporto che si instaura tra il paziente e l'ente sanitario ha natura contrattuale.

In particolare, con l'accettazione del paziente nella struttura deputata a prestare assistenza sanitaria ed ospedaliera, ai fini del ricovero o di prestazioni ambulatoriali, sorge un contratto di prestazione d'opera atipico (c.d. contratto di spedalità) che ha ad oggetto, oltre alla prestazione sanitaria stricto sensu intesa, anche la messa a disposizione di personale ausiliario, mezzi tecnici e farmaci e, se del caso, ulteriori prestazioni di carattere alberghiero.

L'ente, in sostanza, si impegna nei confronti del paziente a fornire adeguate prestazioni assistenziali attraverso la predisposizione di strutture e risorse umane efficienti.

Ne deriva, allora, che la responsabilità dell'ente ospedaliero nei confronti del paziente ha natura contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. e può derivare sia dall'inadempimento delle obbligazioni poste direttamente a suo carico che, ex art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario in qualità di suo ausiliario necessario (cfr., tra le tante pronunce della Suprema Corte, Cass., sez. III, n. 882612007).

La natura contrattuale della responsabilità de qua impone l'applicazione degli ormai noti principi affermati dalle Sezioni Unite sul regime della prova dell'inadempimento (cfr. Cass., S.U., n. 1353312001) secondo i quali il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.

Specificamente la Suprema Corte (Cass S.U. 577/08) ha statuito che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili le regole sulla responsabilità contrattuale ivi comprese quelle sul riparto dell'onere della prova, l'attore ha il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto e di allegare l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso pur essendo sussistente non è stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore.

Pertanto la responsabilità dell' ente ospedaliero per fatto dei medici dipendenti sorge allorché l'intervento medico approdi ad un risultato "anomalo" o anormale che implichi l'aggravamento dello stato morboso, l'insorgenza di una nuova patologia ovvero il mancato raggiungimento di un utile miglioramento dello stato di salute del paziente, di talché laddove non sia stato raggiunto il risultato utile conseguibile, parte convenuta deve dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza.

2. Ciò posto, nella specie, dall'attività istruttoria espletata e dagli esigui documenti acquisiti al processo emergono le seguenti circostanze di fatto:

- in data 13.10.1997 C. P. veniva ricoverato presso l'azienda ospedaliera D. S. (non è documentato se in regime ambulatoriale o di ricovero ordinario, ma è verosimile la prima ipotesi) con diagnosi di pterigio interno ad occhio destro e sottoposto in pari data ad intervento di deviazione della testa del pterigio interno, da parte del dott. M.

- tali scarne notizie emergono dal registro operatorio (acquisito al processo solo nel corso del giudizio, a seguito di richiesta giudiziale), avendo la convenuta consegnato al sig C., prima del giudizio, solo una certificazione postuma, datata 17.2.1999, con cui l'azienda ospedaliera D. S. attestava che in data 13.10.1997 (oltre un anno prima, quindi) il sig C. era stato sottoposto ad intervento di pterigio interno OD (dalle 14 alle 14,15);

- non risulta altra documentazione relativa al detto intervento (cartella sanitaria) da cui evincere la anamnesi (prossima e remota) riferita dal paziente (con particolare riferimento alla pregressa patologia ipertensiva in cura farmacologica), né la tipologia di anestesia locale effettuata (se mediante iniezione retrobulbare ovvero sottocongiuntivale), né informazioni di altro genere;

- né vi è documentazione attestante gli esiti del controllo ambulatoriale effettuato nei giorni successivi all'intervento (pacificamente effettuato), in cui veniva anche rimossa la medicazione sull'occhio, in occasione del quale l'attore C. asserisce di aver accertato per la prima volta la perdita della vista dall' occhio operato, informando di ciò il medico presente;

- in particolare non risulta prodotta la prescrizione di ricovero (verosimilmente in possesso dell'azienda ospedaliera) per l'intervento di pterigio richiesto dal medico curante dott. C., ove sarebbe stata annotata la patologia ipertensiva da cui era affetto il sig C.; la circostanza di tale annotazione sulla richiesta di ricovero emerge dalla dichiarazione stragiudiziale resa in data 18.2.1999 dal dott. C.;

- solo dalla cartella clinica relativa al ricovero del sig C. presso l'ospedale di S. in data 18.11.1997, risulta per la prima volta la diagnosi di otticopatia ischemica anteriore occhio destro, nonché, nell' anamnesi remota, l'annotazione di paziente iperteso in trattamento farmacologico e, nell'anamnesi prossima, operato per asportazione di pterigio in OD circa 1 mese fa; ha sempre visto bene con entrambi gli occhi, da qualche tempo improvvisa riduzione di visus in OD;

- è altresì acclarato che esito invalidante della diagnosticata otticopatia ischemica anteriore occhio destro è stata l'atrofia ottica destra.

Ciò premesso in punto di fatto, il ctu ha evidenziato che a causa della assoluta scarsità di documentazione sanitaria relativa all'intervento chirurgico del 13.10.1997 (di cui manca la cartella clinica e la documentazione relativa ai successivi controlli ambulatoriali) non è stato possibile concludere in modo certo per l'esistenza di un nesso causale tra il detto intervento chirurgico e la lesione del nervo ottico, diagnosticata a distanza di un mese, non avendo notizie sul tipo di intervento praticato, con particolare riferimento alla tipologia di anestesia locale effettuata, né sulla conoscenza da parte dei medici operatori della patologia ipertensiva da cui era affetto il C., al fine di verificare la predisposizione di adeguato monitoraggio (con la costante presenza del medico anestesista) per prevenire rischi conseguenti a tale patologia (crisi ipertensiva).

Il ctu ha infatti ipotizzato, quali possibili cause della otticopatia ischemica (sfociata in atrofia del nervo ottico con grave deficit visivo, che l'attore ha asserito essere comparso immediatamente dopo l'intervento, una volta rimossa la bendatura sull'occhio destro), una ischemia acuta del nervo ottico oppure un danno diretto dello stesso nervo per puntura accidentale con un ago durante l'iniezione anestetica retrobulbare.

Orbene, con riferimento alla prima ipotesi causale, ischemia acuta del nervo ottico, il ctu ha indicato quale possibile fattore scatenante un evento ischemico durante l'intervento chirurgico, dovuto allo stato di ipertensione arteriosa sistemica da cui era affetto il C..

Tuttavia l'assenza di documentazione sanitaria ha impedito al ctu di accertare se nell' anamnesi fosse indicata la patologia ipertensiva e se essa fosse stata adeguatamente monitorata durante l'intervento chirurgico da un medico anestesista proprio al fine di scongiurare tali rischi e, ancor più importante, se un tale evento si fosse o meno effettivamente verificato nel corso dell' intervento.

Con riferimento alla seconda ipotesi causale, puntura accidentale del nervo ottico durante l'iniezione anestetica retrobulbare, il ctu ha evidenziato che la mancata indicazione del tipo di anestesia praticata, indicata nel registro operatorio genericamente come locale, senza specificazione se retrobulbare o sottocongiuntivale, ha impedito di verificare l'astratta ipotizzabilità di una lesione del nervo ottico da iniezione retrobulbare, che dunque non può essere con certezza né affermata né esclusa.

Pertanto il ctu ha concluso nel senso di ritenere in linea generale possibile un nesso causale tra l'intervento in questione ed il deficit visivo successivamente lamentato dall'attore, precisando tuttavia che, allo stato degli atti (ossia per l'assenza di una cartella clinica e comunque di documentazione sanitaria dettagliata), non gli è stata possibile accertarne la reale sussistenza, attesa l'eventualità che altri fattori (sforzo, spavento, emozione), differenti dall'intervento chirurgico contestato, possano avere scatenato l' ischemia del nervo ottico, causa del deficit visivo.

Orbene, condividendo le conclusioni cui è giunto il ctu, fondate sui dati sanitari acquisiti, e facendo applicazione dei principi sull' onere della prova sanciti dalle richiamate pronunce della Cassazione, anche con riferimento alle conseguenze di una difettosa tenuta della cartella clinica, va affermata la responsabilità dell' ASL BR/1 per i danni subiti da C. P. in occasione dell' intervento chirurgico effettuato il 13.10 .1997.

L'attore ha infatti provato di aver effettuato l'intervento chirurgico presso l'ospedale D. S. (contratto di spedalità); ha altresì provato, successivamente ad esso, l'insorgenza di una patologia prima inesistente (otticopatia ischemica anteriore destra e successiva atrofia del nervo ottico destro); ha ancora allegato due possibili cause alternative di tale otticopatia, individuate in una ischemia insorta durante l'intervento per uno sbalzo della pressione arteriosa non adeguatamente monitorata, nonostante la conoscenza della patologia arteriosa da cui era affetto il C., o in via alternativa in una lesione accidentale del nervo ottico durante l'iniezione anestetica retrobulbare.

Ha dunque allegato una serie di inadempienze poste in rapporto di causalità possibile con le lesioni accertate, così assolvendo all'onere probatorio posto a suo carico (Cass S.U. 577/08) e da lui concretamente esigibile alla luce della (carente) documentazione sanitaria relativa all'intervento contestato, non potendo certo ricadere sul paziente le conseguenze di una difettosa (nella specie del tutto assente) tenuta della cartella clinica, che avrebbe invece dovuto fornire elementi certi sull'anamnesi remota (nella specie ipertensione arteriosa), sulla tipologia di anestesia praticata (iniezione sottocongiuntivale oppure retrobulbare) e sulla presenza del medico anestesista tenuto monitorare la pressione arteriosa durante l'intervento (dal registro di sala operatoria nella casella relativa all'anestesista non vi è l'indicazione del medico presente, ma solo la tipologia di anestesia effettuata, locale, senza ulteriori precisazioni).

Resta dunque a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale svolta sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (id est, l'alea terapeutica) o comunque estraneo all'intervento.

Tuttavia tale prova non è stata in alcun modo fornita dall'ente convenuto, che omettendo di produrre, e ancora prima verosimilmente di redigere (nonostante un preciso obbligo in tal senso), la cartella clinica relativa all'intervento chirurgico per cui è giudizio e di documentare per iscritto il decorso postoperatorio attraverso i successivi controlli ambulatoriali, si è precluso la possibilità di dimostrare la correttezza dell' intervento chirurgico praticato, con riferimento al tipo di anestesia locale praticata (sottocongiuntivale o retrobulbare), al monitoraggio del paziente iperteso da parte di un medico anestesista (della cui presenza non si ha prova), dovendosi presumere la conoscenza della patologia ipertensiva, da annotare in cartella nella (obbligatoria) anamnesi remota (anche alla luce della dichiarazione stragiudiziale resa dal medico curante dotto C. il quale ha affermato di aver redatto per iscritto una prescrizione di ricovero annotando la patologia ipertensiva da cui era affetto il C.), sì da documentare, per un verso, l'adozione delle precauzioni necessarie a prevenire problemi vascolari ed escludere, per altro verso (attraverso la prova del monitoraggio della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca del paziente), l'insorgenza di una crisi ipertensiva nel corso dell' intervento chirurgico.

Inoltre l'annotazione del decorso postoperatorio nei, pacifici, controlli ambulatoriali successivi avrebbe consentito, ove documentato per iscritto (come dovuto), di accertare il momento di insorgenza dell' otticopatia, al fine di dimostrare l'eventuale assenza di ogni nesso causale con l'intervento chirurgico contestato (nel caso in cui fosse stato provato l'insorgenza della patologia a distanza di giorni dall'intervento praticato) e, di conseguenza, la riconducibilità di essa ad un crisi ipertensiva scatenata da fattori esterni (stress di altro genere, spavento), così provando, anche per presunzioni, il verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza o comunque l'esistenza di una causa esclusiva del danno, contemporanea o sopravvenuta all'intervento chirurgico de quo.

Va infatti condiviso l'orientamento giurisprudenziale ripetutamente espresso dalla Cassazione (Cass n 11316/03; idem 19133/04; S.D. 577/08; 1538/10), secondo cui la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici e la patologia accertata, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la "vicinanza alla prova", e cioè la effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla.

Nelle citate pronunce, che si condividono, la Suprema Corte è giunta ad attribuire alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto, giungendo talvolta a ravvisare in tale condotta una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico - ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell'esecuzione delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale ex art 1176 cc - controllare la completezza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati (confr. Cass 20101109).

Per tale motivo va quindi ravvisata la responsabilità dell'azienda sanitaria convenuta, non avendo provato il corretto adempimento della prestazione sanitaria, in tutte le sue componenti, così omettendo di offrire elementi oggettivi indicativi, in via indiziaria, dell'esistenza di un evento imprevedibile o inevitabile (accaduto nel corso dell' intervento) o comunque sopravvenuto all' intervento contestato, da solo causativo dell' otticopatia ischemica anteriore acuta diagnostica nel successivo ricovero del 18.11.1997.

3. Passando alla quantificazione del danno il Tribunale ritiene congrue e condivisibili le conclusioni medico-legali operate dal CTV il quale ha riconosciuto in capo all'attore una invalidità permanente del 30%, a causa della riconosciuta atrofia ottica destra, liquidabile, secondo le tabelle del danno biologico in uso nel distretto di Lecce aggiornate ad aprile 2008, in € 75.068,56.

Nulla è stato accertato, e comunque richiesto dall'attore (all'udienza di precisazione conclusioni) quale danno da invalidità temporanea; pertanto alcun importo va liquidato per tale voce.

Risultano poi documentate spese mediche pari a € 1770,62, importo che va pertanto liquidato.

L'attore ha altresì chiesto la liquidazione del danno morale subito in conseguenza del sinistro senza tuttavia nulla allegare in proposito.

Orbene la Suprema Corte a S.V. nella nota, e condivisibile, pronuncia n 26973/08 ha statuito che il danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell' art 2059 cc, deve ormai essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituente categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.

Si è infatti chiarito che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, biologico, da perdita del rapporto parentale, etc) risponde ad esigenze descrittive ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danni, sicchè spetta al giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato (prescindendo dal nome attribuitogli dalla parte), individuando quali ripercussioni sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione, evitando qualsiasi forma di duplicazione del risarcimento.

Tali ulteriori, ed eventuali, voci di danno non patrimoniale possono tuttavia essere oggetto di un distinto risarcimento rispetto all'importo liquidato a titolo di danno biologico, solo ove sia allegato e provato (con prova testimoniale, documentale o presuntiva) il relativo pregiudizio, ulteriore rispetto alla lesione all'integrità psicofisica (cd danno biologico).

Ebbene, dagli atti del giudizio è emerso che l'attore, di 43 anni al momento dell'intervento lesivo, ha subito una grave menomazione, perdita del visus dell'occhio destro, che inevitabilmente, secondo criteri di ordinari età, comporta una consistente limitazione anche nel vivere quotidiano e nella normale esplicazione della vita di relazione, facendo presumere la sussistenza di un danno morale ed esistenziale, ulteriore rispetto a quello conseguente alla lesione del diritto alla salute, suscettivo, per la sua ontologica diversità dal danno biologico, di autonomo risarcimento, senza che ciò possa dar luogo a duplicazioni delle voci di danno non patrimoniale, come sancito dalla citata Casso SU 26973/08.

Tale deminutio nel vivere quotidiano, in un' ottica di personalizzazione del danno, deve essere equitativamente liquidata in una percentuale pari a circa il 30% del danno biologico accertato e pertanto va liquidata in ulteriori € 22.500.

In conclusione all'attore va liquidato l'importo di € 99.339,18 per danno non patrimoniale (biologico, morale ed alla vita di relazione e patrimoniale) conseguente al sinistro in parola, somma che va posta a carico della convenuta A.S.L./BR1.

A tali somme devono essere aggiunti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, quest'ultima dal 1.5.2008 (le tabelle del Distretto di Lecce, al quale si è fatto riferimento, sono aggiornate ad aprile 2008).

In particolare gli interessi legali vanno applicati non sulla somma interamente rivalutata ma, in applicazione dei principi di cui alla sentenza Sezioni Unite 17.2.1995 n 1712, sulla somma come annualmente rivalutata secondo indici Istat.

Concretamente la somma complessiva va dapprima riportata al valore effettivo corrente al momento del fatto illecito (cosiddetta devalutazione) e, sulla somma così ottenuta, vanno anno per anno (cioè con rivalutazione della somma anno dopo anno) calcolati gli interessi legali.

Va invece rigettata la domanda di risarcimento del danno biologico e morale soggettivo richiesto da C. S., per il trauma psichico asseritamente subito in conseguenza delle lesioni subite dal coniuge C. P., non avendo in alcun modo documentato una lesione alla salute psichica valutabile dal punto di vista medico legale (danno biologico), né bastando l'asserita qualità di coniuge a provare in via presuntiva un danno morale soggettivo, rimasto pertanto del tutto indimostrato.

L'accoglimento della domanda per una somma inferiore a quella domandata nonché il rigetto della domanda proposta da C. S. giustifica la compensazione per il 30% delle spese di lite che per la restante parte si pongono a carico dell' ASL convenuta e si liquidano in dispositivo.

Spese di CTU definitivamente a carico del convenuto.

P.Q.M.

Il Tribunale di Brindisi, definitivamente pronunciando sulla domanda promossa da C. P. e Conte Silvia nei confronti di Azienda Unità Sanitaria Locale BR/1, in persona del legale rappresentante p.t, così provvede:

- accoglie per quanto di ragione la domanda proposta da C. P. e per l'effetto condanna la convenuta ASL BR/1 al pagamento in favore di C. P. di € 99.339,18 a titolo di danno non patrimoniale (biologico, morale e alla vita di relazione) e patrimoniale per i fatti di causa, oltre interessi legali dal sinistro al soddisfo e rivalutazione dal 1.5.2008 al soddisfo.

In particolare gli interessi andranno calcolati sulla somma devalutata e poi rivalutata annualmente dal 01.07.2002, secondo i criteri indicati da Cass S.U. n 1712/95.

- Spese compensate nella misura del 30%. 
 

- Condanna la convenuta a rifondere all'attore le residue spese di lite che si liquidano per il residuo 70% in € 5.580,00, di cui € 180 per spese, € 2.400 per onorari e € 3.000 per diritti oltre 12,5% spese generali IV A e CPA.

Spese di CTU a carico della convenuta.

Rigetta la domanda proposta da C. S..

Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

Brindisi, lì 28.3.2011