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La responsabilità medica in un caso di intervento laparoscopico.

Il professionista risponde anche per colpa lieve quando per omissione di diligenza o di prudenza provochi un danno nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica. La limitazione della responsabilità del medico alle sole ipotesi di dolo o colpa grave si applica unicamente ai casi che trascendono la preparazione media (Cass. 11.4.1995, n. 4152), ovvero perché la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza, o non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare (Cass. 12.8.1995, n. 8845).

Tribunale di Lecce – Seconda sezione civile, dott. Ferraro – Sentenza n. 687 del 20 febbraio 2013.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lecce, Seconda sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice Adele Ferraro, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 1615/2006 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto: responsabilità professionale e vertente

TRA

F.M.E., 

attore

E

AUSL/1 in persona del Direttore Generale pro-tempore

convenuto

CONCLUSIONI: come da rispettivi atti introduttivi e verbale dell'udienza del 12.10.12

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, F.M.E. esponeva:

- che, nell'ottobre 2002, era stata sottoposta a visita medica dal dott. D.G.D., accusando persistenti dolori addominali e gonfiori;

-a seguito di ricovero presso l'Ospedale Galateo le venne diagnosticato un disturbo della canalizzazione intestinale da sindrome aderenziale, diverticolite", seguita da esame diagnostico di pancolonoscopia in narcosi e prescrizione di trattamento farmacologico;

- persistendo i detti disturbi, si recava, nuovamente, nel giugno 2003, presso lo studio privato del medesimo medico, il quale le suggeriva di effettuare un intervento chirurgico in laparoscopia definito dal professionista una "sciocchezza", che le avrebbe consentito di ritornare alle sue normali attività;

- l'intervento venne effettuato nell'Ospedale Galateo il 10.6.2003, ebbe la durata di quattro ore con diagnosi di "Sindrome subocclusiva da diverticolite complicata, sindrome aderenziale", cui seguì una difficile canalizzazione;

- ella consultò molti medici specialisti, in diversi settori e luoghi fino a quando il Dott. M. dell'Ospedale Civile di Lecce la sottoposte, in data 4.10.2005, ad altro intervento chirurgico di riresezione colo-rettale;

- dal secondo intervento emerse come l'ansa afferente veniva mal posizionata, con torsione di 180 gradi, così da impedire la canalizzazione intestinale, determinando consistenti danni patrimoniali e non, per spese sostenute per le visite mediche, terapie riabilitative, farmaci, soggiorni, viaggi, oltre che per l'intervento di chirurgia a svolgersi per la cicatrice conseguente all'intervento.

Tanto premesso, citava in giudizio la ASL LE/l perché il Tribunale accertasse e dichiarasse la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, con condanna al risarcimento dei danni nella misura a quantificarsi in corso di causa a seguito degli accertamenti peritali a svolgersi.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva la ASL Le/1 che contestava l'avversa pretesa, concludendo per il suo rigetto perché del tutto infondata, essendo stato l'intervento effettuato correttamente eseguito e realizzato.

Esperita l'istruttoria con prova testimoniale, era disposta ed effettuata una c.t.u. medico legale, all'udienza del 25.6.2010, il Giudice rinviava al 10.5.11 per il prosieguo della prova.

Con provvedimento presidenziale del 2-3 maggio 2012 la causa veniva assegnata al presente istruttore,

Svolta la prova testimoniale, si rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 12.10.2012; a detta udienza le parti precisavano le conclusioni, e la causa veniva trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'atto di citazione l'attrice ha posto a fondamento della sua domanda risarcitoria una pretesa imperizia e negligenza del medico D.G.D., dipendente della struttura ospedaliera convenuta, nel prospettarle la necessità dell' esecuzione di un trattamento chirurgico, senza indicarne le possibili conseguenze, nella concreta esecuzione del trattamento sanitario a cui si sottopose, sostenendo che ebbe ad errare il sanitario al momento del "riposizionamento dell' ansa" che presentava una "torsione" tale da determinare le difficoltà nella canalizzazione e nell' evacuazione evidenziata dall'attrice e dai testi escussi in corso di causa.

Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. tra le più recenti Cass. 13/2005, n. 583), da cui non vi è motivo di 'discostarsi, l'eventuale responsabilità del medico, libero professionista, è pacificamente ricondotta all'inadempimento di un contratto di prestazione d'opera professionale stipulato con il paziente ai sensi dell'art. 2229 cod. civ., avendo gli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità, seguita pressoché costantemente ed uniformemente da quella di merito, condotto all'affermazione di una responsabilità contrattuale derivante dalla fattispecie del cosiddetto contatto sociale (in tal senso Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, Cass. SS. UU., I0 luglio 2002, n. 9556 e Cass. 19 aprile 2006, n. 9085).

Pertanto, la responsabilità del medico per i danni causati al paziente postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività e che, in rapporto alla professione di medico chirurgo, implica una scrupolosa attenzione ed un'adeguata preparazione professionale (così Casso 12.8.1995, n. 8845).

Infatti, il medico specialista, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176, primo comma, ma è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dall'art. 1176, secondo comma, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e degli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica.

Il richiamo alla diligenza ha, in questi casi, la funzione di ricondurre la responsabilità alla violazione di obblighi specifici derivanti da regole disciplinari precise.

In altri termini, sta a significare applicazione di regole tecniche all'esecuzione dell'obbligo, e quindi diventa un criterio oggettivo e generale e non soggettivo.

Ciò comporta, come è stato rilevato dalla dottrina, che la diligenza assume nella fattispecie un duplice significato: parametro di imputazione del mancato adempimento e criterio di determinazione del contenuto dell'obbligazione.

Nella diligenza è, quindi, compresa anche la perizia da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione.

Comunemente si dice che trattasi di una diligentia in abstracto, ma ciò solo per escludere che trattisi di diligentia quam in suis, e cioè la diligenza che normalmente adotta quel determinato debitore.

Per il resto il grado di diligenza, per quanto in termini astratti ed oggettivi, deve essere apprezzato in relazione alle circostanze concrete e tra queste, quanto alla responsabilità professionale del medico, rientrano anche le dotazioni della struttura ospedaliera in cui lo stesso opera.

A norma dell'art. 2236 c.c., poi, applicabile anche ai medici, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave.

Va, altresì, rilevato che la limitazione di responsabilità professionale del medico specialista ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'art. 2236 c.c., attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell'imprudenza e della negligenza. (Cass. 16/02/2001, n. 2335; Cass. 18.11.1997, n. 11440; Corte Cost. 22.11.1973, n. 166).

Pertanto, il professionista risponde anche per colpa lieve quando per omissione di diligenza o di prudenza provochi un danno nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica.

In altri termini, la limitazione della responsabilità del medico alle sole ipotesi di dolo o colpa grave si applica unicamente ai casi che trascendono la preparazione media (Cass. 11.4.1995, n. 4152), ovvero perché la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza, o non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare (Cass. 12.8.1995, n. 8845).

La Suprema Corte, poi, ha costantemente configurato la responsabilità dell'ente ospedaliero come di natura contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (così Cass. 27 luglio 1998, n. 7336; Cass. 2 dicembre 1998, n. 12233; Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; Cass. 1 settembre 1999, n. 9198; Cass. Il marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv; Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133; Cass. 2 febbraio 2005, n. 2042; Cass. 18 aprile 2005, n. 7997; Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 24.5.2006, n. 12362).

Si tratta, in particolare:

a) di un contratto atipico, con effetti protettivi nei confronti del terzo, che fa sorgere a carico dell'ente ospedaliero, accanto ad obblighi lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, di quello paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. SS.UU. 1.7.2002, n. 9556);

b) di un contratto a prestazioni corrispettive in quanto fa sorgere anche l'obbligazione di versare il corrispettivo per la prestazione resa dalla struttura sanitaria (pubblica o privata), restando irrilevante che questa obbligazione sia estinta dal paziente, dal suo assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente.

La responsabilità contrattuale di tale struttura nei confronti del paziente può, dunque, derivare, a norma dell'art. 1218 c.c., sia dall'inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore, sia, a norma dell'art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore.

E' poi irrilevante stabilire, nella fattispecie che ci occupa, se detta responsabilità sia conseguenza dell'applicazione dell'art. 1228 c.c., per cui il debitore della prestazione che si sia avvalso dell'opera di ausiliari risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi, ovvero del principio di immedesimazione organica, per cui l'operato del personale dipendente di qualsiasi ente pubblico o privato ed inserito nell'organizzazione del servizio determina la responsabilità diretta dell'ente medesimo, essendo attribuibile all'ente stesso l'attività del suo personale (Cass. Civ. n. 9269/1997 e Cass. Civ. n. 10719/2000).

Infatti, ciò che rileva, in questa sede, è che l'ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti nell'ambito delle prestazioni sanitarie effettuate al paziente: in altri termini, l'ente ospedaliero è contrattualmente responsabile se il suo medico è almeno in colpa, applicandosi il corrispondente regime dell'onere probatorio.

In definitiva, possono ritenersi approdi unanimemente condivisi dalla Corte di Cassazione sia l'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, - sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 de12006; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316); sia la qualificazione giuridica in termini pressoché analoghi dell'obbligazione assunta, nei confronti del paziente, dal medico che abbia eseguito l'intervento a prescindere dalla circostanza che quest'ultimo sia dipendente dalla struttura sanitaria in cui venga eseguito l'intervento ovvero sia il medico di fiducia del paziente in quest'ultima ricoverato.

A questi fini è, infatti, sufficiente che la struttura sanitaria comunque si avvalga dell'opera del medico, non valendo ad escludere la sua responsabilità la circostanza che ad eseguire l'intervento sia un medico di fiducia del paziente, sempre che la scelta cada (anche tacitamente) su un professionista inserito nella struttura sanitaria ovvero che si avvalga di tale struttura, giacché la scelta del paziente risulta in tale ipotesi operata pur sempre nell'ambito di quella più generale ed a monte effettuata dalla struttura sanitaria, come del pari irrilevante è che la scelta venga fatta dalla struttura sanitaria con (anche tacito) consenso del paziente (Cassazione civile, sez. III, 13/04/2007, n. 8826; Cass. 14 giugno 2007 n. 13953; Cass. 14 luglio 2004 n. 13066; Cass. 22 dicembre 1999, n. 589; Cass. 29.9.2004, n. 19564; Cass. 21.6.2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006).

Chiarita tale inquadramento giuridico, deve rilevarsi come le circostanze di fatto esposte in citazione dalla F.M.E. sono sostanzialmente dimostrate per tabulas dalla documentazione sanitaria ritualmente depositata - e non tempestivamente contestata dal convenuto (cfr. comparsa di costituzione) - nonché dalle risultanze delle testimonianze acquisite in corso di causa.

La cronologia dei fatti è stata, sulla base della documentazione, puntualmente ricostruita dal CTU nel proprio elaborato peritale, cui si fa integrale richiamo, così come si richiamano tutte le allegazioni presenti in atti.

Della vicenda de qua devono richiamarsi gli eventi più significativi con riferimento alla domanda proposta:

a) l'attrice, nell'ottobre 2002 ebbe a rivolgersi al Dott. D.G.D. e, per il tramite di questi, a ricoverarsi presso l'Ospedale A. Galateo ove il professionista lavorava, per un "disturbo della canalizzazione intestinale da sindrome aderenziale, diverticolite" a seguito del quale le venne proposta prescrizione farmacologica;

b) a seguito del ripresentarsi dei dolori addominali e difficoltà nell' evacuazione, la F. si rivolgeva ancora al Dott. D.G. che la sottoponeva presso l'Ospedale Galateo ad interventi chirurgico di resezione del colon in laparoscopia e con diagnosi, all' atto delle dimissioni, di "sindrome subocclusiva da diverticolite complicata, sindrome aderenzìale"; c) a causa del persistere dei fastidi, ella si rivolgeva a numerosi specialisti, in varie sedi, sottoponendosi ad esami clinici e prescrizioni farmacologiche e nutrizionali;

d) il 4.10.2005 venne sottoposta ad altro intervento chirurgico in Lecce, presso l'Ospedale Vito Fazzi, nel corso del quale si rilevava la presenza di una torsione in prossimità del sito operatorio pregresso di circa 1800, specificamente "anastomosi colo-rettale stenotica con rotazione di circa 1800 dell'ansa afferente fusa con lo psoas sin e con l'uretere sn intimamente aderente al colon sin"

e) anche dopo il detto intervento la sintomatologia dolorosa e le difficoltà nell' evacuazione continuavano, come documentato in atti, così nel febbraio 2007 venne sottoposta a nuovo intervento chirurgico in Padova di laparoscopia esplorativa

Occorre verificare se siano state poste in essere condotte tali a cagionare alla F. danni e come questi possano essere eventualmente quantificati e risarciti.

Orbene, l'espletata consulenza medico-legale, ha consentito di acclarare alcuni profili che debbono essere espressamente richiamati:

l) l'aver effettuato alla paziente, in data 10.6.2003, un intervento che, alla luce del quadro clinico manifestato all'epoca avrebbe potuto essere evitato o almeno procrastinato nel tempo,potendosi trattare la sintomatologia connessa alla patologia riscontrata con trattamento farmacologico;

2) dell' intervento non risulta offerta analitica informazione alla paziente, dei rischi e complicanze connesse all'intervento con consenso al trattamento conseguente alla precisa comprensione da parte della paziente delle notizie esposte, non risultando agli atti alcun documento di consenso informato.

Il CTU, con argomentazioni logiche e sostenute da convincenti argomentazioni scientifiche, ha evidenziato il profilo di colpa del professionista "nell'aver effettuato un intervento chirurgico alla luce del quadro clinico manifestato all'epoca avrebbe potuto essere evitato o almeno procrastinato nel tempo, potendosi trattare la sintomatologia connessa alla patologia riscontrata con trattamento farmacologico"; per altro verso, ha escluso che l'intervento praticato potesse non essere stato effettuato correttamente, ritenendo che la rotazione di circa 1800 dell'ansa afferente rispetto al retto era da attribuirsi alle numerose aderenze pur n riscontrate, dato che l'ansa afferente risultava fusa con il muscolo psoas sinistro e con " l'uretere omolaterale. Il dato troverebbe ulteriore conforto nel fatto che dal primo al secondo intervento trascorsero circa due anni.

Il CTU evidenziava la mancanza del modulo di consenso informato; ed, infatti, dagli atti di causa non è emerso che il sanitario abbia prospettato alla paziente il possibile fallimento del trattamento operatorio, non urgente ma di elezione, così da poterle consentire di rifiutare l'operazione ovvero di procrastinarla.

Il CTU, infatti, ha precisato come il detto intervento ben avrebbe potuto essere procrastinato, trattandola paziente con indicazione farmacologia, come già effettuato nel precedente ottobre.

Il Ctu ha accertato che, in conseguenza delle condotte del sanitario ospedali ero, l'attrice ha subito lesioni permanenti nella misura del 10%, nonché una inabilità temporanea totale di giorni 60, un'inabilità temporanea parziale al 50% di giorni 90 ed una inabilità minima al 25% di 30 giorni.

Le conclusioni del medico legale sul danno biologico, sono condivise dal Tribunale, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, valutata con criteri medico-legali immuni da errori e vizi logici.

Quanto al danno patrimonialc, deve rilevarsi come la Franco non abbia offerto alcuna prova in ordine all'entità delle spese sostenute in ragione e per causa dell' intervento praticatole e dei fastidi conseguenti ad esso,

Ed, infatti, sebbene siano state allegate varie certificazioni mediche di specialisti di tutta l'Italia, non sono in atti le relative fatture attestanti i costi sostenuti per sottoporsi alle visite di tali specialisti, ovvero per le spese di soggiorno e viaggio; inoltre, non è stata offerta la prova del collegamento delle dette visite e controlli all'operazione svoltasi presso l'Ospedale Galateo, essendo la certificazione in atti anche successiva al secondo intervento svoltosi presso l'Ospedale di Lecce.

Pertanto, essendo rimasta imdimostrata la sussistenza di un danno patrimoniale della F. in ragione e per conseguenza dell' atto operatorio posto in essere dal D.G., deve essere rigettata la domanda svolta di risarcimento del danno patrimoniale.

Quanto alla risarcibilità del danno non patrimoni aie, correlato all'inadempimento di un'obbligazione, esso ha costituito profilo controverso fino alle Sezioni Unite dell'Il novembre 2008, per quanto tal une pronunce, ad esse anteriori, avessero lasciato un margine di apertura all'ammissibilità del suddetto danno. In particolare, Cass., civ., 9 novembre 2006, n. 23918, aveva tendenzialmente escluso il risarcimento del danno non patrimoni aie, con riferimento all'ambito della responsabilità contrattuale, indicando l'art. 2087 c.c., in materia di lavoro subordinato, quale eccezione alla suddetta regola.

Ciò anche In considerazione della mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art. 2059 c.c. dettato in materia di fatti illeciti.  

Peraltro, venendo in rilievo la lesione di beni di dignità costituzionale, quali quelli di cui agli artt. 2, 32, l3 Cost., si prefigurava l'applicazione, in aggiunta al regime dell'inadempimento contrattuale, della disciplina in materia di illecito aquiliano, secondo il principio del cumulo dei titoli di responsabilità.

Orbene, le Sezioni Unite dell' Il novembre 2008, in armonia con le conclusioni in materia di danno non patrimoniale - ricostruito quale un'unica grande categoria di cui il danno esistenziale rappresenterebbe una mera variante descrittiva - pervengono alla soluzione diametralmente opposta.

La Suprema Corte, ripercorrendo l'iter evolutivo in materia, ricorda come, al fine di superare l'ostacolo dato dall'assenza, nell'ambito della materia contrattuale di una norma di contenuto analogo all'art. 2059 c.c., la giurisprudenza (avesse) elaborato la teoria del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia subito lesioni nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in materia di tutela del lavoratore).

Nondimeno, il cumulo non era idoneo a giustificare il risarcimento del danno non patrimonìale, al di fuori delle ipotesi di espressa tipizzazione dello stesso in virtù dei ristretti limiti desumibili dal combinato disposto degli artt. 2059 e 185 c.p., per cui il risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo.

Ciò premesso, secondo le Sezioni Unite, l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. consentirebbe di sostenere che "anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali".

A tal riguardo, la pronuncia richiama il principio dell'indefettibilità del riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, di quella tutela, minima, costituita dal risarcimento; tutela che, quando questi siano stati lesi, dovrebbe essere assicurata, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale". Ne consegue che é ammissibile far rifhiirc il danno non patrimoni aie "nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni.

D'altronde, nonostante la mancanza di un'espressa previsione di risarcibilità del danno non patrimoniale in materia contrattuale, è richiamabile, pur sempre, la previsione dell'art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.

Dalla suddetta norma, è deducibile "la libera deducibilità nell'ambito di un regolamento contrattuale di valori non strettamente patrimoniali, ma afferenti la persona".

Inoltre, l'inerenza al programma contrattuale, per quanto non espressamente dedotti, di interessi a contenuto non patrimoni aie discenderebbe anche dall'applicazione della C.d. causa concreta del negozio "da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come condivisibilmente affermato dalla sentenza n. 10490/2006)".

Dunque, le Sezioni Unite aderiscono alla più recente ricostruzione dogmatica della causa del contratto (intesa quale finalità pratica in concreto perseguita) ed "elaborata al fine di riconoscere tutela agli interessi effettivamente perseguiti dalle parti con l'adozione di un certo modello contrattuale, il cui schema normativo, dunque, non è più idoneo a delimitare, in via esclusiva, l'ambito degli interessi suscettibili di tutela per il tramite dello strumento contrattuale" .

Inoltre, esiste un legame inscindibile fra la c.d. causa in concreto e la fattispecie dei "c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario".

Poichè la causa concretamente perseguita attraverso i contratti "sanitari" consiste "nell'attuazione della tutela della sfera della salute in senso ampio", l'inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del medico é idoneo a ledere "diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali".

E' noto come le Sezioni Unite dell' 11.11.2008 abbiano degradato il danno biologico a mera componente descrittiva della più ampia categoria del danno non patrimoniale.

Esso va inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica in sè e per sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione.

Tale voce di danno, come precisato dalla Corte Costituzionale, n. 184/86, non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza del danneggiato, con il conseguente paradosso, al contempo, dell'irrisarcibilità del danno biologico, subito da chi sia sprovvisto di un'attività lavorativa e della commisurazione del danno all'occupazione del soggetto o, persino ­secondo un'inammissibile visione della società, rigidamente ripartita per classi - dei genitori.

Come espressamente affermato anche dall'art. 139 del Codice delle Assicurazioni, per danno biologico deve, invece intendersi "la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito".

Ciò premesso, il danno biologico consistente nella violazione dell'integrità psico-fisica della persona va considerato ai fini della determinazione del risarcimento, sia nel suo aspetto statico (diminuzione del bene primario dell'integrità psico- fisica in sè e per sè considerata) sia nel suo aspetto dinamico (manifestazione o espressione quotidiana del bene salute).

Risulta, inoltre, provata, nel caso di specie, anche l'ulteriore figura descrittiva del danno non patrimoniale, individuata dalle Sezioni Unite del 2008, nel danno morale e, dalla stessa pronuncia, disancorato dal dato temporale, con conseguente abbandono dello schematismo concettuale per cui il danno morale deve essere necessariamente transeunte.

Né può accedersi alla tesi, frutto di un'interpretazione riduttiva delle Sezioni Unite, secondo cui il danno morale, nell'ipotesi di una sua derivazione "biologica" non sarebbe voce autonomamente risarcibile, rispondendo le due figure descrittive alla tutela di beni giuridici distinti, come, peraltro, evincibile anche dalle scelte della legislazione speciale.

Tal ultima, spesso, (si pensi, ad esempio, al Decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2009, n. 181 che introduce un Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell'articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206) non solo continua a distinguere le due categorie di danno ma contiene una nozione legale di danno morale.

Si ritiene opportuno applicare, al caso di specie, ai fini della valutazione del danno individuato dal CTU, le tabelle di Milano, in quanto strutturate e concepite - diversamente dalle attuali Tabelle di Lecce - in funzione del nuovo inquadramento concettuale del danno non patrimoniale, quale categoria unitaria, cui sono approdate le Sezioni Unite dell' 11.11. 2008.

Né la maggiore o minore diffusione delle stesse presso i tribunali locali - a fronte della prevalenza statistica delle tabelle milanesi sul territorio nazionale - può costituire ragione sufficiente ad impedirne l'applicazione nel caso di specie.

Le nuove Tabelle - approvate il 28 aprile 2009 e aggiornate nel 20 Il - presentano profili di innovatività rispetto alle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all'integrità psico-fisica.

Infatti, esse individuano il nuovo valore del C.d. "punto" muovendo dal valore del "punto" delle Tabelle precedenti (connesso alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato in riferimento all'inserimento nel valore di liquidazione "medio" anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva"di una percentuale ponderata (dall'l al 9% di invalidità l'aumento è del 25% fisso, dal l0 al 34 % di invalidità l'aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l'aumento torna ad essere fisso al 50%), e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di C.d. personalizzazione.

Quanto alla responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato, essa discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, "ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell'esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell'unitario "rapporto" in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell'attività di esecuzione del trattamento".

In altri termini, la correttezza o meno del trattamento non assume rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia del fatto, sussistendo quest'ultima per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32, comma 2, cost., (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 cost., (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dell'art. 33 1. 23 dicembre 1978 n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all'integrità fisica.

Sul piano del danno - conseguenza, venendo in considerazione il peggioramento della salute e dell'integrità fisica del paziente-, rimane del tutto indifferente che la verificazione di tale peggioramento sia dovuta ad un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta.( Cassazione civile, sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444).

La mancanza di una esplicita prospettazione al paziente dei rischi conseguenti all'intervento, di elezione e non urgente, delle possibili recidivanze, delle sofferenze conseguenti al detto intervento, pur correttamente eseguito, ha procurato al paziente una lesione del suo interesse ad essere informato, per consentirgli di prestare il proprio consapevole consenso all'intervento, causa di sofferenze fisiche - evidenziate dai testi escussi nel corso del giudizio- che avrebbe potuto procrastinare nel tempo.

Dalle dichiarazioni della teste F.L., sorella dell'attrice, infatti, emerge che ella ebbe ad accompagnare la sorella presso lo studio del Dott. D.G. nel giugno 2003; fu il medico a proporle un "piccolo intervento", che il sanitario definì "più semplice di un'estrazione dentaria", che le avrebbe consentito di risolvere definitivamente il problema e "avrebbe avuto un intestino di una ventenne", precisando che non sarebbero residuati danni di tipo estetico ed entro 20 giorni sarebbe potuta andare al mare in bikini.

Pertanto, continua a riferire la teste, F.E. che non ipotizzava neppure l'eventualità di un intervento chirurgico, "allettata dalla possibilità di risolvere definitivamente il problema e rassicurata circa l'estrema semplicità dell'intervento, si risolse a seguire il consiglio del Dott. D.G.".

Tale dichiarazione non lascia dubbi in merito al fatto che la F. ebbe a determinarsi all'intervento chirurgico esclusivamente sulla base di quanto le fu riferito dal D.G. e, pertanto, la mancanza di una compiuta e verace prospettazione delle possibili conseguenze dell' intervento, nonché dell' effettiva non necessità dello stesso sono condotte che consentono di ritenere violata la libertà di autodeterminazione della paziente nella scelta in ordine all'intervento chirurgico cui si sottopose.

Pertanto, tenuto conto anche della lesione del diritto della paziente all'autodeterminazione consapevole alla scelta dell' atto operatorio deve essere liquidato in euro 113,00 il punto base ITT; applicando le predette tabelle, rispetto al danno da invalidità permanente subito dall'attore, come evidenziato dal CTU, deve essere quantificato in euro 18.835; quanto, invece, al calcolo del danno da inabilità temporanea, in applicazione dei suddetti valori tabellari e considerato che il risarcimento per ogni giorno di invalidità assoluta è pari ad euro 113,00, si quantifica in complessivi euro 12.712,50 ( euro 9.780, per l'ITT per giorni 60; euro 5085,00, l'I.T.P. al 50% giorni 90, in euro 847,50 per l'inabilità minima al 25% per giorni 30).

Essendo stato il danno liquidato alla stregua di criteri e valori aggiornati al 2011, non va accordata la rivalutazione, altrimenti, avendosi un'indebita duplicazione del risarcimento.

Devono, invece, computarsi gli interessi legali con decorrenza dal giorno dell'evento lesivo, ovvero dal 10.6.2003.

Le spese seguono la soccombenza; attesa la parziale soccombenza di parte attrice sono compensate al 20% e si liquidano nell'importo in dispositivo fissato.

Le spese della disposta CTU devono essere poste a carico dell'ente convenuto.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da F.M.E. nei confronti di Azienda Unità Sanitaria Locale Lecce/l, in persona del Direttore Generale p.t., così provvede:

accoglie la domanda dell'attore, e, per l'effetto, condanna l'ente convenuto al risarcimento dei danni, in favore dell'attore, quantificati in Euro 31.547,50, oltre interessi legali dal 10.6.03 sino all'effettivo soddisfo;

rigetta ogni altra domanda;

compensa le spese legali per il 20% e condanna il convenuto al pagamento, in favore dell'attore, dell' 80% delle spese di giudizio che liquida, in parte qua, in euro 3.000,00 oltre accessori come per legge; pone le spese della disposta CTU a carico del convenuto.

Lecce, 25.1.2013