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Tribunale di Lecce – Prima sezione civile, dott. Katia Pinto – Sentenza n. 3926 del 17 ottobre 2014.
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lecce, in persona del giudice dott.ssa Katia Pinto, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile, in prima istanza, iscritta al n. 5514/2008 RG., TRA C.D., - attrice - CONTRO MINISTERO DELLA SALUTE. - convenuto - D.P.R. e D.P.A..; - intervenuti volontari - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato C.D., nella qualità di moglie ed erede di D.P.S., deceduto il 29.10.2006, conveniva in giudizio il Ministero della Salute al fine di ottenere il risarcimento dei danni iure heredìtatis e iure proprio dalla stessa subiti per l'epatite cronica HCV contratta dal congiunto a seguito dell'emotrasfusione cui venne sottoposto il 17.9.1975, durante la degenza presso l'Ospedale di Bari. Con comparsa depositata in data 02.12.2008 si costituiva in giudizio il Ministero convenuto, eccependo preliminarmente la prescrizione di ogni diritto al risarcimento, atteso il tempo trascorso dall'asserito contagio e dalla conoscenza della patologia contratta, e contestando nel merito la sussistenza di nesso causale tra l'emotrasfusione subita e la patologia riportata, nonché di condotta colposa imputabile. Concessi i termini per il deposito di memorie ex art. 183 co. VI c.p.c., con ordinanza del 06.3.2012 il Tribunale disponeva esperirsi consulenza tecnica di ufficio, nominava CTU il dotto Eugenio Vilei, al quale all'udienza dell'08.3.2012 conferiva l'incarico. Nella stessa sessione si costituivano volontariamente D.P.R. e D.P.A., entrambi figli ed eredi di D.P.S., spiegando autonoma domanda nei confronti del convenuto. All'esito del deposito della consulenza, all'udienza del 23.9.2014 il Tribunale, ascoltate le conclusioni delle parti, ha trattenuto la causa per la decisione, assegnando alle parti il termine richiesto per il deposito di sole conclusionali. MOTIVI DELLA DECISIONE Valutato il complesso delle risultanze acquisite, ritiene il decidente che la domanda sia stata provata. Va preliminarmente rigettata l'eccezione di prescrizione formulata dal Ministero della Salute: come ribadito in più occasioni dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, infatti, la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale ed il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, non essendo ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione, quali quelle di epidemia colposa o lesioni colpose plurime (ex plurimis, Cass. n. 576/2001). Per quanto concerne poi l'individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione in ipotesi di fatto dannoso lungolatente, quale è quello relativo a malattia da contagio, la Corte ha innanzitutto richiamato le proprie precedenti pronunce nelle quali era stato ritenuto che "il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di avere contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell'art. 2947 c.c., comma 1, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche" (ibidem). Muovendo da tali premesse, il Supremo Collegio ha affermato che il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni provocati da emotrasfusioni infette decorre dalla data di presentazione della domanda volta ad ottenere l'indennizzo previsto dalla L. 210/1992. Ciò in quanto, "tenuto conto che l'indennizzo è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni; emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo conformata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche" di cui all'art. 4 della predetta legge", Cass. n. 581/2008 cit .. Ebbene, nel caso di specie, posto che la domanda di indennizzo ex lege 210/1992 venne presentata dal D.P. in data 17.11.2005 e che la citazione in giudizio è stata notificata il 17.9.2008, nessuna prescrizione risulta essere maturata. Peraltro, dall'esame della documentazione in atti, emerge che nel marzo del 2003 al D.P. fu diagnosticata la patologia epatica, non già l'origine di detta, che non è identificata neanche nella certificazione del DH cui il medesimo si sottopose nel settembre 2003. Venendo al merito che qui ci occupa, risulta dalla documentazione prodotta che il 31.8.1975, durante la degenza presso la Clinica Ortopedica del Policlinico di Bari, D.P.S., nato il 04.8.1949, venne sottoposto ad emotrasfusione il 17.9.1975. La sussistenza del necessario nesso di causalità materiale tra la predetta emotrasfusione e la patologia di "epatopatia cronica HCV correlata" dal medesimo contratta è stata accertata dal consulente tecnico d'ufficio nominato nel corso del giudizio. Nella relazione depositata in data 12.7.2012 il dott. Eugenio Vilei ha affermato, sulla scorta di un giudizio presuntivo, che è "altamente probabile che D.P.S. abbia contratto l'HCV a seguito delle trasfusioni cui fu sottoposto nel settembre 1975". Può, dunque, ritenersi senz'altro sussistente il nesso eziologico tra l'emotrasfusione subita e l'epatite contratta, tenuto conto, per un verso, che, come evidenziato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 582/2008, in tema di responsabilità extracontrattuale per danno causato da emotrasfusione "la prova del nesso causale, che grava sull'attore danneggiato, tra la specifica trasfusione ed il contagio da virus HCV, ove risulti provata l'idoneità di tale condotta a provocarla, può essere fornita anche con il ricorso alle presunzioni (art. 2729 c.c.}" e considerato, sotto altro profilo, che ai fini dell'accertamento del nesso causale in materia di responsabilità civile non vige la regola applicata ai fini dell'affermazione della responsabilità penale della prova "oltre il ragionevole dubbio" (Cass. Pen. SS.UU. n. 30328/02, Franzese), bensì quella della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (Cass. Civ. SS.UU. 584/2008). Per ciò che concerne, poi, la sussistenza non solo del nesso di causalità materiale, ma anche del necessario nesso di causalità giuridica tra la condotta omissiva ascritta del Ministero e le conseguenze lesive che ne sono derivate a danno di D.P.S., va rilevato che non può condividersi l'eccezione del convenuto secondo cui alcuna responsabilità potrebbe essergli imputata poiché all'epoca in cui vennero effettuate le trasfusioni de quibus non era stato ancora individuato il virus dell'epatite C (HCV) e non esistevano quindi i relativi markers attraverso i quali accertarne la presenza nel sangue dei donatori. In proposito va premesso che, come evidenziato dalla Sezioni Unite da ultimo nella nota sentenza n. 581/2008, anche prima dell'entrata in vigore della L. 107/90 contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della Salute, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. Infatti l'art. 1 L. 592/67 prevede che il Ministero emani le direttive tecniche per l'organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione, e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, alla preparazione dei suoi derivati e ne esercita la vigilanza, e gli attribuisce inoltre (art. 21) il compito di autorizzare l'importazione e l'esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico, il D.P.R. 1256/1971 contiene norme di dettaglio che confermano l'attribuzione al Ministero della funzione di controllo e vigilanza in materia (artt. 2, 5, 105, 112); la L. 519/73 attribuisce all'Istituto Superiore di Sanità compiti attivi a tutela della salute pubblica; l'art. 6 (lettere b) e c) della L. 853178, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, conserva al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale ed a compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati, mentre l'art. 4 n. 6 conferma che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale; il D.L. 445/87, convertito nella L. 531/87, stabilisce la sottoposizione dei medicinali alla ed. "farmacosorveglianza" da parte del Ministero della Sanità, che può stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio ed emettere provvedimenti cautelari sui prodotti in commercio. Ne discende che "l'omissione, da parte del Ministero, di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando (. . .) dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell'interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi" (Cass. SS.UU. n. 581/2008 cit.). Ciò premesso, va evidenziato che, come osservato nella predetta pronuncia, "ai fini della causalità materiale nell'ambito della responsabilità aquiliana la giurisprudenza e la dottrina prevalenti; in applicazione dei principi penalistici; di cui agli artt. 40 e 41 cp., ritengono che un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni; il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo". Tuttavia, "non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi; all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili; ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale" (ibidem). Quindi, secondo la teoria della regolarità causale, "ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta (. .. ) che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili" in base ad una valutazione da compiersi, sebbene a posteriori, ex ante ed in concreto (c.d. prognosi postuma), tenendo tuttavia presente che "ciò che rileva è che l'evento sia prevedibile non da parte dell'agente, ma (per così dire) da parte delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non improbabilità dell'evento" (Cass. n. 581/2008 cit.). Per ciò che concerne, poi, "l'imputazione per omissione colposa", il Supremo Consesso ha innanzitutto evidenziato che, in tal caso, "il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto". Ed infatti, "Poiché l'omissione di un certo comportamento, rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, siccome implicante l'esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell'evento poi verificatosi e, quindi; di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell'impedimento di quell'evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell'obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto". Individuato tale obbligo, la causalità, che nell'omissione non può essere di ordine strettamente materiale, atteso che ex nihilo nihil fit, diviene tuttavia accertabile attraverso un giudizio ipotetico, ovverosia appurando se l'azione doverosa omessa avrebbe, con un elevato grado di probabilità, impedito l'evento. Muovendo dai predetti principi in tema di nesso causale da comportamento omissivo, le Sezioni Unite giungono quindi ad individuare anche il criterio per la determinazione temporale della responsabilità del Ministero per i c.d. danni "da sangue infetto", ovverosia per la lesione dell'integrità psicofisica subita da soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, superando, almeno in parte, le conclusioni alle quali la Corte era pervenuta con la sentenza n. 11609 del 2005. Ed infatti in tale pronuncia i giudici di legittimità avevano affermato che "finché non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale, i virus della HIV, HBC ed HCV, proprio perché l'evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l'evento lesivo, in quanto all'interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l'omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutte inverosimili; tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l'attività omessa", Con la pronuncia in esame, invece, le Sezioni Unite, sulla scorta del rilievo che "non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti; ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale (trasfusione con sangue infetto - contagio infettivo - lesione dell'integrità)", pervengono alla conclusione che "già a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell'esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi; ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge". Ebbene, premesso che, secondo quanto sancito dalla Suprema Corte, è compito del giudice adito accertare l'epoca a cui risale la conoscenza della patologia contratta dal soggetto emotrasfuso, nel caso di specie va affermata la sussistenza del necessario nesso eziologico tra la condotta omissiva colposa del Ministero e l'evento lesivo che ne è derivato, e, dunque, la sua responsabilità per l'epatite contratta da D.P.S., atteso che, secondo quanto riferito dal CTU nella relazione depositata in atti, i test di laboratorio per la diagnosi del virus HBV erano disponibili già a partire dal 1978 (circostanza che rappresenta peraltro oramai un fatto notorio), di certo non lo erano all'epoca in cui il D.P. si sottopose all'emotrasfusione. Ne discende che se il Ministero avesse emanato disposizioni tecniche volte a rendere obbligatoria l'esecuzione dei predetti test sui donatori ed avesse effettuato i controlli all'importazione ovvero sull'attività di raccolta e sui Centri Trasfusionali, i medici ospedalieri e gli enti autorizzati, conformandosi a tali prescrizioni ed istruzioni, avrebbero avuto consistenti probabilità di scoprire preventivamente nel donatore del sangue intero da utilizzare a scopi trasfusionali l'esistenza di chiare controindicazioni al prelievo, ovvero all'uso del sangue per la produzione dei derivati. Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale riportato da D.P.S., e spettante iure hereditatis all'attrice ed ai discendenti intervenuti, stimata dall'ausiliario l'invalidità permanente nella misura del 55 - 60 %, applicate le Tabelle adottate dall'Osservatorio per la Giustizia Civile del Tribunale di Milano aggiornate al 2014, cui secondo Cass. 12408/2011 è doveroso uniformarsi, e che già prevedono la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico legale" e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore" (cd. danno morale), stima il Tribunale equo liquidare alle parti iure hereditatis ed in solido (ma da ripartirsi ex art. 581 c.c.), tenuto conto dell'età di 26 anni del congiunto all' epoca della trasfusione, la somma di € 510.000,00, non essendo stati allegati specifici elementi che possano indurre a quantificare il pregiudizio in misura superiore ai valori medi indicati nelle citate tabelle. Detta somma, quantificata in moneta attuale, va maggiorata di interessi legali sulla somma anno per anno devalutata a ritroso sino al 1975, ed interessi legali dalla pronuncia al saldo; da essa va detratta quella di € 75.000,00 da rivalutare all'attualità, già liquidata a favore dei congiunti a titolo di indennizzo ex lege 210/92, ma non corrisposta. Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, "la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria ex L. n. 210 del 1992, e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione infetta da Hiv ed Hcv a seguito di un giudizio di responsabilità promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità, per aver omesso di adottare adeguate misure di emovigilanza; non osta a che l'indennizzo corrisposto al danneggiato sia integralmente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento" (Cass. n. 584/2008; Cass. n. 65705/20105). Nulla va invece riconosciuto a titolo di risarcimento del danno da inabilità temporanea, non a caso non quantificato dal consulente, atteso che il decorso clinico delle patologie da cui il D.P. è risultato affetto è stato asintomatico ed egli ne ha avuto contezza solo all'esito delle indagini ematochimiche e strumentali eseguite nel 2003. Va invece liquidato alla sola attrice C.D. che ne ha fatto richiesta il danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa specifica del congiunto deceduto, il quale secondo il CTU perse ogni capacità lavorativa e come risulta dagli atti all'epoca del decesso produceva un reddito di impresa di € 6.450,00: in conclusione, capitalizzato il richiesto 50% di detta somma per ulteriori tredici anni di vita, spetta al coniuge la somma di € 41.925,00. Quanto al danno biologico riportato da ciascuna delle parti in causa per la perdita del congiunto, posto che all'esito della consulenza il dott. Vilei ha ritenuto che il decesso del D.P. è senza dubbio da ascriversi alla patologia virale contratta e che nel 2005 C.D., D.P.R. e D.P.A. convivevano con il marito e genitore (vedi certificato del 28.10.2005), applicando i parametri di Cassazione civile, sez. III, 06/09/2012 n. 14931 stima il Tribunale equo liquidare alla prima la somma di € 180.000,00 ed a ciascuno dei secondi, tenuto conto della loro matura età al momento del decesso del padre, quella di € 165.000,00 ciascuno, oltre interessi legali sulla somma via via devalutata fino al 2006, e dalla pronuncia al saldo. Valutata la complessità della materia e l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, al punto da rendere necessario l'intervento delle Sezioni Unite, ritiene il Tribunale che ricorrano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, accollando al convenuto solo quelle occorse per la consulenza tecnica d'ufficio, come liquidate in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C.D., D.P.R. e D.P.A.: l) Accoglie la domanda per quanto di ragione e per l'effetto condanna il Ministero della Salute al pagamento in favore di C.D., D.P.R. e D.P.A. in solido della somma di e 510.000,00 a titolo di danno biologico iure hereditatis, oltre interessi legali sulla somma anno per anno devalutata a ritroso sino al 1975, ed interessi legali dalla pronuncia al saldo, detratto l'importo liquidato a titolo di indennizzo ex lege n. 210/1992, nonché in favore di C.D. della somma di € 41.925,00 per le causali di cui in parte motiva; 2) Condanna il Ministero della Salute al pagamento in favore di C.D. della somma di € 180.000,00 e di D.P.R. e D.P.A. della somma di € 165.000,00 ciascuno a titolo di danno biologico iure proprio, oltre per ognuno interessi legali sulla somma anno per anno devalutata a ritroso sino al 2006, ed interessi legali dalla pronuncia al saldo; 3) Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite; 4) Pone definitivamente a carico del Ministero della Salute le spese sostenute per la consulenza tecnica di ufficio disposta e separatamente liquidate. Lecce, 17/10/2014 IL GIUDICE Dott.ssa Katia Pinto |