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I termini di prescrizione in un caso di cecità assoluta dalla nascita per trattamenti di ossigenoterapia e fototerapia in incubatrice.

Il termine di prescrizione ex art. 2947, primo comma, c.c. decorre "dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche".

Tribunale di Lecce – Seconda sezione civile, dott. Tinelli – Sentenza n. 776 del 28 febbraio 2013.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Onorario dr.ssa Maria Carmela Tinelli,in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 8167/04 R.G. avente ad oggetto " responsabilità medica. "

promossa da

B.A., .

ATTORE

contro

A.S.L. Lecce , in persona del Direttore generale pro tempore , anche in qualità di liquidatore della soppressa U.S.L. LE ,

CONVENUTA

e contro

dr. R.L. ,

CONVENUTO

nonché contro

prof. SL, 

CONVENUTO

CONCLUSIONI

Come da verbale in atti , all'udienza del 29/03/2012 , le parti precisavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuta per la decisione con concessione dei termini massimi ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di eventuali repliche

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 18/11/2004, notificato alla Azienda Sanitaria Locale convenuta, al dr. R.L. in data 24/11/2004, nonché al prof. S.L. in data 29/11/2004, l'attore li conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce per sentire dichiarare la loro solidale responsabilità in ordine alla causazione della cecità totale da cui egli è affetto ad entrambi gli occhi e delle connesse gravissime patologie e menomazioni, per cause direttamente imputabili al comportamento professionale colposo, alla negligenza ed presso l'Ospedale" Vito Fazzi " di Lecce - Reparto Pediatria - ebbero in cura il piccolo B.A. nei primi giorni dalla sua nascita, praticandogli ossigenoterapia e fototerapia in incubatrice somministrando, a suo dire, dosi di ossigeno incontrollate e oggettivamente pericolose , con modalità errate e comunque con gravi errori nella pratica di detta terapia, omettendo finanche gli elementari accertamenti, precauzioni e cure del caso, con concorrente responsabilità della A.S.L. di Lecce (già A.U.S.L. di Lecce) , in persona del Direttore Generale.

L'attore per l'effetto chiedeva la condanna dell'Azienda Sanitaria Locale, del dr R.L., del prof. S.L., al risarcimento, in suo favore, di tutti i danni da egli patiti e patendi e per le causali specificate nel libello introduttivo del giudizio, per una complessiva somma pari ad euro 2.750.000,00 s.e.o. a titolo di invalidità permanente - danno biologico, danno da totale inabilità al lavoro quale lucro cessante, danno morale, psichico ed esistenziale, oltre interessi e rivalutazione dall'epoca dell'evento e sino all'effettivo soddisfo, ovvero per quella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia a seguito dell'istruzione della causa, oltre interessi e rivalutazione dall'epoca dell'evento e sino all'effettivo soddisfo, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio e con sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge.

Con comparsa di risposta del 01/02/2005, depositata in data 04/02/2005, si costituiva in giudizio la A.U.S.L. LE/1, in persona del Direttore Generale p.t. , sostenendo l'infondatezza della domanda per insussistenza del nesso causale tra l'attività posta in essere dai sanitari convenuti e la malattia da cui è affetto il sig. B., ne chiedeva il rigetto, eccependo preliminarmente l'intervenuta prescrizione della domanda ai sensi dell'art. 2934 c.c., nonché degli artt.2935 c.c. , comb. disp. 2946 e 2947 , riconducendo erroneamente, il dies a quo, al giorno in cui il fatto ebbe a verificarsi e non invece al momento in cui il soggetto ha avuto percezione del fatto illecito altrui .

Eccepiva altresì, sempre in via preliminare, la carenza di legittimazione passiva della azienda sanitaria convenuta, sostenendo l'intervenuta successione ex lege delle regioni nei rapporti di pertinenza delle soppresse U.S.L. , in virtù del D.lgs n. 502/92 e della L. 724/94 , secondo le quali disposizioni gli Enti territoriali diverrebbero soggetti giuridici obbligati ad assumere integralmente a proprio carico i debiti relativi alle pregresse gestioni delle Unità Sanitarie Locali.

Si costituiva in giudizio, il prof. S.L., con comparsa di risposta del 14/02/2005 , il quale eccepiva anch'egli , in via preliminare, l'intervenuta prescrizione della domanda attorea, chiedendone il rigetto in quanto infondata in fatto e in diritto, dovendosi escludere la riconducibilità della cecità da cui è affetto l'attore ad una condotta caratterizzata da negligenza o imprudenza tenuta dal professionista convenuto che ebbe in cura B.A.dopo la sua nascita.

Con comparsa del 04/02/2005 , depositata in cancelleria in pari data, si costituiva in giudizio il dr R.L., il quale in via preliminare eccepiva l'intervenuta prescrizione della domanda attorea, ne chiedeva il rigetto, sull'assunto della ritenuta insussistenza del nesso deterministico tra la patologia da cui è affetto il B. e la condotta del medico convenuto.

La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale, interrogatorio formale del dr L. e del dr. L., prova testimoniale a mezzo dei sigg.ri C.T., E.C., dr P.P. e C.T.U. medico-legale le cui risultanze sono in atti.

All'udienza del 29/03/2012, le parti precisavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuta per la decisione con concessione dei termini massimi ex art. 190 C.p.C. per il deposito di comparse conclusionali e di eventuali repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va reietta l'eccezione di prescrizione sollevata dalle parti convenute.

Ed invero il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno del soggetto che assuma di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell'art. 2947 primo comma c.c., non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma da quello in cui essa viene percepita - o può essere percepita - quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza, tenuto conto, altresì, della diffusione delle conoscenze scientifiche. ( cfr. Cass. civ. sez. III 21 febbraio 2003 n. 2645 - V. nello stesso senso anche Cass civ sez III 8/6/2006 n. 10493; Cassazione civile, sez. Il, 27/07/2007 n. 1665; Cass. S.U. 583/08 ; Cass civ sez III n. 16463/2009)

Ed ancora nella sentenza n. 576/08 , le S.U. della Suprema Corte di Legittimità hanno affermato che il termine quinquennale di prescrizione della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito del terzo, previsto dall'art. 2947, primo comma c.c., comincia a decorrere, ex art. 2935 c.c., dal momento in cui la malattia prodotta dal comportamento illecito "viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso e colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche".

Questo principio, affermato in relazione ad un caso di fatto dannoso lungolatente, quale è quello relativo a malattia da contagio per sangue infetto, aumenta notevolmente il tempo per potere agire in sede giudiziaria per ottenere il risarcimento in sede civile del danno da illecito civile, che potrà essere richiesto dal paziente anche a notevole distanza dall'intervento del sanitario.

ll principio affermato dalle S.U. della Cassazione si fonda su un'interpretazione dell'art. 2935 c.c. - secondo il quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"- e dell'art. 2947, primo comma, c.c. ­secondo il quale "il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è verificato" - che tiene conto della difficoltà per il paziente di avere la piena consapevolezza della responsabilità del terzo nella causazione del danno lamentato e, quindi, di avere gli elementi per potere agire in sede giudiziaria.

Nella motivazione della sentenza la Cassazione ha ricordato l'evoluzione della dottrina e della giurisprudenza in tema di prescrizione dell'azione in oggetto, dal momento in cui (Cass. Civ. sent. n. 1716/1979) fu spostato il dies a quo della decorrenza della prescrizione "dal verificarsi del fatto all'esteriorizzazione del danno", con la conseguenza che il limite della prescrizione divenne "mobile".

Successive sentenze della Cassazione (n. 5701/99, n. 9927/00 e n. 12666/03) hanno poi specificato che il danno si manifesta all'esterno quando diviene "oggettivamente percepibile e riconoscibile", anche in relazione alla sua "rilevanza giuridica".

Per la decorrenza della prescrizione, in sostanza, non fu ritenuto sufficiente la consapevolezza del paziente di "stare male", ma fu affermata la necessità di potere apprezzare la "gravità" delle conseguenze lesive del comportamento illecito altrui, anche in relazione alla loro" rilevanza giuridica".

La mera "conoscibilità del danno" da parte del paziente, peraltro, non sempre è stata ritenuta dalla dottrina circostanza sufficiente per la decorrenza della prescrizione in tutte quelle situazioni nelle quali la vittima si trovi, "senza sua negligenza", ad ignorare la causa del suo stato psicofisico ovvero a formulare sul punto congetture prive di riscontri oggettivi, validi ai fini probatori.

Per andare incontro a queste esigenze si è manifestato recentemente un nuovo orientamento giurisprudenziale - recepito nelle sentenze n. 2645/03, n. 12287/04 e n. 10493/06 della Cass. Civ. - che ha affermato che il termine di prescrizione ex art. 2947, primo comma, c.c. decorre "dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche".

ln queste sentenze viene, quindi, utilizzato il principio della "conoscibilità del danno" unitamente a quello della "rapportabilità causale" del danno.

A questo nuovo orientamento hanno aderito le S.U. della Suprema Corte nella sentenza n. 576/08 , con la quale si è ribadito l'importanza, in punto di decorrenza della prescrizione, delle informazioni cui il soggetto vittima dell'illecito ha avuto (o avrebbe potuto avere utilizzando l'ordinaria diligenza) circa i dati necessari per potere agire utilmente in giudizio.

Non solo, quindi, rilevanza, ai fini della decorrenza della prescrizione, della conoscenza da parte del paziente del danno, ma anche della conoscenza (o possibilità di conoscenza secondo lo stato dell'arte dell'epoca) del relativo nesso di causalità e delle azioni-omissioni rilevanti a produrlo.

Le S.U. hanno, inoltre, affermato la rilevanza, sul punto, anche dell'eventuale colposo comportamento tenuto dal convenuto danneggiante (medico o struttura) nel non fornire al paziente tutte le informazioni in suo possesso, qualora a ciò tenuto, ad esempio in seguito ad accertamenti sanitari eseguiti in favore della vittima successivamente alla manifestazione della malattia.

Nella specie, l'istruttoria ha confermato che i genitori dell'attore esercenti la patria potestà , unitamente all'attore medesimo, scoprirono del tutto casualmente che la cecità da cui era affetto B. era imputabile al comportamento colposo dei sanitari che lo ebbero in cura a seguito della sua nascita ,prematura, come fu loro esplicitato dall'oculista dr. P. in occasione di una visita specialistica il 25/11/1999.

Circostanza che mai avrebbero potuto supporre atteso che il dr L., agli interrogativi della madre che portò presso di lui il piccolo a consulto privato ,poco dopo le sue dimissioni, non appena la stessa si avvide di qualcosa che non andava nella vista del figlioletto, riferì senza esitazione che il bambino era nato cieco .

Ciò viene confermato dalla sig.ra C.T., teste escussa all'udienza del 20/06/2007 che testualmente riferiva:

"E' vera la circostanza sub 5) delle note istruttorie a firma Avv. Caputo del 13/04/06 . Accompagnai la Sig.ra C., madre di A. , con il bambino presso il Dr R.L. il quale riferì, guardando il bambino e senza visitarlo, che era nato cieco e che pertanto non vedeva ( ..... )

E' vera la circostanza sub 16) delle stesse note istruttorie di parte attrice.

L'attore ed i suoi genitori hanno appreso che non era nato cieco, ma che lo era diventato per le terapie praticategli presso l'ospedale di Lecce, solo in quella occasione" .

La circostanza ha trovato poi puntuale conferma anche nella deposizione della teste sig.ra E.C., parimenti raccolta all'udienza del 20/06/2007.

L'eccezione di intervenuta prescrizione dell'azione risarcitoria va dunque rigettata per ignoranza incolpevole dell'attore sia in relazione all'origine della patologia e sia in ordine alla sua riconducibilità al fatto colposo del terzo.

Ritiene altresì il decidente che l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della A.SL in persona del suo direttore generale, in relazione alle pretese attoree ,debba essere riqualificata, trattandosi in realtà non di eccezione di difetto di legittimazione passiva, ma di eccezione di difetto nel merito di titolarità del lato passivo del rapporto azionato.

Va infatti rammentato che la giurisprudenza più recente (in ciò seguita dalla prevalente dottrina) tende a risolvere la legittimazione attiva e passiva "nella titolarità del potere o del dovere (rispettivamente per la legittimazione attiva o passiva) di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, indipendentemente dalla questione dell'effettiva titolarità dal lato attivo o passivo del rapporto controverso, questione che, invece, attiene al merito" (così Cass., 2 febbraio 1995, n. 1188; ma sul tema anche Cass., 26 novembre 1998, n. 11981; Cass., 4 febbraio 1993, n. 1375; Cass., 27 novembre 1986 n. 6998)

In altri termini, perché sussista la legittimazione attiva o passiva è necessario e sufficiente che un soggetto affermi la propria titolarità del lato attivo di un diritto (Iegittimazione attiva) e che ad un soggetto sia attribuita titolarità del lato passivo di un diritto (Iegittimazione passiva), senza che sull'esistenza di tali condizioni dell'azione venga ad influire la concreta titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, la quale viene a tradursi in una mera questione di merito che conduce conseguentemente non ad una pronuncia in rito sulla legittimazione, ma ad una pronuncia in merito sulla possibilità di accogliere la domanda.

Ne deriva che allorquando venga eccepita l'estraneità al rapporto giuridico dedotto in giudizio di una delle parti la contestazione non attiene ad un difetto di legittimazione ad agire e contraddire - per la cui sussistenza è necessario e sufficiente che la titolarità del rapporto venga semplicemente prospettata mediante deduzione di fatti idonei in astratto a fondare il diritto azionato - bensì alla titolarità in concreto del rapporto (cfr. Cass., 3 luglio 1999, n. 6894)

Nel caso di specie, l'eccezione è infondata.

In proposito, è noto che per effetto della soppressione delle Unità Sanitarie Locali (U.SL) e della conseguente istituzione delle Aziende Unità Sanitarie Locali( A.U.SL), aventi natura di enti strumentali della Regione, si è realizzata una fattispecie di successione "ex lege" delle Regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte U.S.L, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius delle A.SL alle preesistenti U.S.L. (ex multis, cfr. Cassazione civile, sez. 1,20 settembre 2006, n. 20412, Cassazione civile, sez. III, 23 luglio 2002, n. 10730 e Cassazione civile, sez. un., 15 novembre 2005, n. 23022).

Più precisamente, la legislazione nazionale emanata in materia sanitaria alla stregua dei principi direttivi stabiliti dalla legge 23 ottobre 1992 n. 491 di delega per la nazionalizzazione e per la revisione della disciplina del settore (in particolare, il O.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502) hanno comportato la configurazione delle nuove Aziende Sanitarie Locali come aziende dotate di personalità giuridica e di propria autonomia patrimoniale, contabile e gestionale.

In questo quadro, nell'avvicendamento delle A.U.S.L. alle U.SL, si è effettivamente verificata una continuità di gestione nei relativi rapporti, ivi compresi quelli di lavoro subordinato o parasubordinato con il personale dipendente o convenzionato e, quindi, una successione dei neo-costituiti organismi a quelli soppressi. Ma ciò non implica affatto che si sia realizzata anche una successione in universum jus delle A.U.S.L. alle U.S.L. per ciò che concerne i rapporti obbligatori facenti capo a queste ultime, in quanto la successione nei rapporti si può configurare nei soli limiti in cui la legge lo ha voluto, e non già per il solo fatto della soppressione degli enti pubblici assorbiti.

Infatti, l'art. 6, comma 1 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, disponendo che "in nessun caso è consentito alle regioni far gravare sulle aziende di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, né direttamente né indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali", e prevedendo che a tal fine le Regioni fossero dotate di apposite Gestioni a stralcio, con individuazione dell'ufficio responsabile di esse, ha per ciò stesso inteso escludere l'ipotizzata successione,

mentre la legge 23 dicembre 1995 n. 549 contenente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" all'art. 2, comma 14, ha confermato tale scelta prescrivendo che per l'accertamento della situazione debitoria delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere al 31 dicembre 1994, le Regioni attribuissero ai Direttori Generali delle istituite Aziende Unità Sanitarie Locali le funzioni di Commissari Liquidatori delle soppresse Unità Sanitarie Locali comprese nell'ambito delle rispettive aziende e che le Gestioni a stralcio di cui all'art. 6, comma i della legge 23 dicembre 199411.724 fossero trasformate in Gestioni liquidatorie.

Nel caso di specie, occorre fare altresì riferimento alle norme dettate dalla Regione Puglia in materia.

Ed invero, la legge regionale 14/06/1994 n. 18 ha previsto la soppressione delle U.S.L. esistenti e l'istituzione in luogo di esse, di 12 nuove A.U.S.L .

Ed ancora giova ricordare la legge regionale 12/04/1995 n. 19 , il cui unico articolo, che ha sostituito il quinto comma dell'art. 46 legge regionale 30/12/1994 n. 38 , ha disposto il confluimento del fondo di cassa e dei rapporti di credito e di debito facenti capo alle U.S.L. poste in liquidazione, dal 10 gennaio 1995 , in apposite gestioni a stralcio, la cui responsabilità è affidata al direttore generale della stessa A.U.S.L. di nuova costituzione, in qualità di commissario liquidatore.

Infine, la legge regionale n. 16/97 ha espressamente disposto che fossero assegnati ai Direttori delle neoistituite A.A.U.U.S.S.L.L. i compiti relativi al " pagamento dei debiti rientranti nell'ambito delle gestioni liquidatorie delle soppresse USL ( .... .) " nonché le funzioni inerenti alla " rappresentanza legale e processuale"( art. 20 , comma 10 ) come meglio specificate e puntualizzate nel documento di indirizzo Economico Funzionale ( DIEF ) del Servizio Informativo Sanitario Regionale ( SISR ) anni 2008 ( DGR n. 95/2008) , 2009 ( DGR n. 1442/2009) e 2010 ( DGR 1092/2010) , assegnando di fatto al Direttore Generale della nuova Azienda Sanitaria la gestione liquidatoria delle pregresse Unità Sanitarie Locali. ( V. tra l'altro nota della Regione Puglia del 19/11/2010 allegata al fascicolo attoreo )

Orbene , poiché non vi è dubbio che la domanda attorea si fonda su danni che sarebbe stati provocati dal personale convenuto della ormai estinta U.S.L. LE ( Puglia), antecedentemente al 31 dicembre 1994, va affermata la piena titolarità passiva della Azienda Sanitaria Lecce citata.

Passando al vaglio del caso di specie, la domanda attorea è fondata e merita accoglimento.

Il C.T.U. incaricato ha sostenuto che le complicanze cecità) della ROP sono" più probabilmente che non" conseguenza immediata e diretta dell'eziologia multifattoriale di tale patologia.

Ritiene la scrivente di non poter condividere l'opinione negativa espressa dal C.T.U. in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la patologia accertata e le pratiche terapeutiche effettuate dai medici convenut , in ragione delle considerazioni che seguono.

Già con le sentenze 21/04/1977 n.1476 e 13/05/1982 n. 3013 e poi di recente con la sent. 21/01/02 n° 632 la Cassazione ha avuto occasione di puntualizzare come l'individuazione del rapporto di causalità che attiene ad un evento lesivo collegato all'esecuzione di terapie mediche o di interventi chirurgici deve essere effettuata, non solo con criteri giuridici, ma anche tenendo conto delle nozioni della patologia medica e della medicina legale, per cui la possibilità teorica di un margine inevitabile di relatività non può, di per sé sola invalidare un accertamento basato sulla corrispondenza di alcune affezioni a un determinato meccanismo causale, in assenza di qualsiasi altra causa patogena.

Inoltre si deve tener conto del fatto che in campo biopatologico, è estremamente difficile raggiungere un grado di certezza assoluta e, pertanto, la sussistenza del nesso causale fra un determinato antecedente e l'evento dannoso ben può essere affermata in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, soprattutto quando manca la prova della preesistenza, della concomitanza o della sopravvenienza di altri fattori determinanti come nella specie.

E' di esperienza comune, infine, come nella realtà medica non accade quasi mai che intervenga un'unica causa nella determinazione di una patologia, accade molto più spesso che il danno sia provocato dal verificarsi di una serie di concause, in altre parole nella eziologia delle malattie i fattori sono spesso plurimi.

Ritiene dunque la scrivente che sia sufficiente a provare la sussistenza del nesso eziologico una ragionevole probabilità unitamente alla mancanza di prova di altre (con)cause determinanti.

Nella perizia di parte del prof. L. è dato leggere infatti :

“ Esistono certamente altri fattori di rischio che possono influire sulla insorgenza e progressione della malattia , ma essi sono complementari a quello fondamentale costituito dalla tossicità dell'02 in alte dosi ed alla grave prematurità : nel caso in specie è documentale la prova di un uso ingiustificato ed incontrollato della ossigenoterapia ed una assoluta mancanza di tentativi di prevenzione, all'epoca già comunemente usati.”

Il predetto C.T.P. ha analizzato la storia clinica dell'attore e, sulla scorta della connessione logica dei dati e delle conoscenze medicobiologiche più recenti e più risalenti nel tempo, ha elaborato il seguente giudizio:

“ . Ie complicanze fatali per la vista del sig. B. sono da attribuire in via diretta al comportamento imperito , negligente e imprudente tenuto dai sanitari che lo ebbero in cura, e che pertanto la invalidità totale (100 %),  i danni psicologici e materiali , nonché il pretium doloris subiti dal B. siano dovuti alla colpa grave ed alle omissioni dei sanitari, dipendenti dell'ente ospedaliero ."

Tale giudizio è, a parere di questo giudice, condivisibile in quanto congruamente motivato.

A medesime conclusioni perviene la Suprema Corte di Legittimità in un analogo caso.

La sentenza si fonda sulle seguenti ragioni : la consulenza tecnica disposta ed espletata in appello aveva evidenziato una serie di circostanze idonee ad individuare una concorrente responsabilità della struttura ospedaliera e del D., essendo rimasto accertato che la minore, nata prematura alla ventinovesima settimana e con un peso alla nascita di 1.000 grammi, e, quindi soggetto ad alto rischio in ordine alla sindrome ROP - determinata, per quanto universalmente riconosciuto da iperossia della retina immatura - era stata sottoposta a supplementazione di ossigeno, necessaria per correggere l'ipossia congenita nel prematuro, con un'apparecchiatura antiquata, in quanto priva di impianto di monitorizzazione per dosare e controllare e controllare la quantità di ossigeno erogato e con apparecchio per l'esecuzione di emogasanalisi perennemente guasto; tali circostanze evidenziavano in modo macroscopico la grave responsabilità , da un lato dei responsabili della struttura ospedaliera, e per esso dell'U.S.L. ,in quanto con grave negligenza non si erano attivati per dotare l'ospedale di un impianto idoneo a tutelare la salute dei prematuri ricoverati, e , dall'altro del D. , il quale, in presenza di una così macroscopica carenza delle apparecchiature di cui era dotata /'incubatrice, non aveva provveduto a disporre con urgenza il trasferimento della minore in un centro di cura dotato di attrezzature idonee; inidonea ad escludere la responsabilità degli appellati doveva ritenersi , al contrario da quanto da essi sostenuto , l'impossibilità di verificare in concreto, a distanza di tempo, la quantità di ossigeno erogato oltre misura [. ..... ] lasciare la minore per numerosi giorni in balia di un'apparecchiatura in cui era impossibile dosare e controllare l'erogazione di ossigeno e non funzionante era un elemento di grave imprudenza e negligenza /I e proprio l'inerzia operativa a fronte di tale impossibilità concretizzava la responsabilità concreta del sanitario e dell'Istituto in ordine all'evento ; era in proposito assorbente il rilievo che la mancata monitorizzazione dell'ossigenoterapia riscontrata dai consulenti tecnici d'ufficio evidenziava che la minore, nata prematura, e quindi soggetto a rischio e bisognosa di particolari cautele ed assistenza, era stata sottoposta ad una terapia inadeguata che ha comportato l'iperossia e la conseguente perdita totale della vista ; in particolare, il D. , non si era fatto carico del fatto che la mancata monitorizzazione esponeva la minore alle gravissime conseguenze di una eccessiva somministrazione di ossigeno [. ..... ] d'altro canto , non era stata dedotta e nemmeno diagnosticata, né alla nascita né al momento delle dimissioni una cecità congenita per incompleta formazione dei tessuti, la quale, peraltro, neppure era stata ipotizzata in sede di consulenza tecnica d'ufficio; detta evenienza non era stata nemmeno presa in considerazione dai sanitari della struttura ospedaliera, i quali né alla nascita né all'atto delle dimissioni avevano sottoposto la minore a visita oftalmica , ancorché risultasse affetta , come avevano ammesso fin dalla comparsa di risposta in primo grado i convenuti , da una congiuntivite catarrale; restava, dunque, accertata la responsabilità in pari misura del d'O - per avere svolto la sua attività professionale in modo inidoneo alla soluzione del caso affidato alle sue cure , non avendo Egli preso in considerazione la situazione di emergenza ed il costante pericolo al quale era sottoposta la minore per la mancanza di adeguate strutture e conseguentemente per non essersi munito tempestivamente di strutture adeguate, o , per il caso di impossibilità di munirsene , non averne disposto il trasferimento in un centro dotato di apparecchiature idonee e funzionanti, oppure t ancora, avvisato i genitori della gravità della situazione perché prowedessero; poiché all'epoca della nascita della minore , come avevano rilevato i consulenti tecnici che si erano occupati del caso , già venivano utilizzati normalmente apparecchiature dotate di impianto di monitorizzazione per l'ossigeno terapia , doveva escludersi che operasse la limitazione di responsabilità al dolo o alla colpa grave, di cui all'art. 2236 cod. civ. , in quanto essa trova applicazione solo ai casi trascendenti la preparazione media owero allorquando la particolare complessità del caso discenda dal non essere stato studiato a sufficienza o non dibattuto con riferimento ai metodi da adottare "[ .... ]"

La sentenza imputa la responsabilità anche adducendo - con implicita evocazione del rilievo del consenso, nel caso del soggetto rappresentante legale del paziente, che i genitori della minore non vennero neppure awisati della gravità della situazione, onde essere posti in gradi di provvedere " ( cfr. Cass. civ. sez. III 28/03/2006 n. 7078 )

Va osservato che benché il fatto esaminato nella citata sentenza risalisse al 1981 e quindi a ben 3 anni prima del caso per cui è lite, i periti d'ufficio in quella sede, hanno ritenuto pacifico che era già universalmente noto che la ROP fosse procurata dalla ossigenoterapia erogata in misura e modalità incontrollate mediante iperossia della retina immatura e che già a quell'epoca venivano utilizzate normalmente apparecchiature dotate di impianto per il dosaggio e la monitorizzazione dell'ossigenoterapia.

Non pare condivisibile quindi a parere della scrivente quanto sostenuto dal dr. M. in una parte del suo elaborato, ovvero che solo " sulla base di studi successivi " rispetto alla nascita dell'attore , la comunità scientifica avrebbe avuto cognizione dei devastanti effetti dell'ossigenoterapia non controllata sulla retina degli immaturi , riportandosi espressamente, tuttavia , nelle stesse argomentazioni agli atti di un convegno internazionale in tema , svoltosi a Roma nel 1983 .

E' già tanto basterebbe a confutare quanto sostenuto dal perito d'ufficio per le evidenti contraddizioni in cui cade.

E' lo stesso consulente che, in numerosi passi della stessa C.T.U. , a ritenere il controllo oftalmologico del neonato a rischio di ROP necessario e già consigliato già da tempo all'epoca della nascita di B.A.

L'indicazione all'intervento, ove possibile dovrebbe essere valutata separatamente da due oculisti esperti

sulla ROP [ ] I primi tentativi di crio trattamento di una ROP in fase attiva si debbono attribuire a Payne e

Patz .... 1972 1977 ..... 1978 [ ..... .]

Inoltre questo studio multicentrico americano, aveva stabilito che gli esami successivi erano da effettuare a seconda della severità della malattia riscontrata all'esame iniziale: se l'esame iniziale indicava una ROP senza pre-soglia, i bambini venivano esaminati ogni due settimane fino ad una conferma della regressione ; se era presente una ROP pre-soglia, il neonato veniva esaminato ogni settimana fino alla guarigione della malattia" ( cfr. C.T.U. dr. M.)

E' lo stesso perito d'ufficio dunque a riconoscere in buona sostanza la necessità di controlli oftalmici frequenti nel prematuro come pratica già nota addirittura nel 1972 e riconosce la possibilità concreta di regressione o di guarigione della patologia se trattata in fase attiva ( ovviamente previa diagnosi).

Nella specie, nessuna visita oftalmologica fu effettuata al piccolo A., nonostante la già nota vulnerabilità degli occhi del neonato all'ossigenoterapia, tanto più se in dosaggio incontrollato e per trattamenti prolungati!

Del resto è lo stesso teste dr. P.P. escusso all'udienza del 09/11/11 ( medico specialista in Oftalmologia in forza presso la Clinica Universitaria di Ancona) a riferirlo : " .... nell'ipotesi in cui effettivamente si trattasse di esiti di retinopatia pretermine come da me sospettato, l'errata esposizione ad ossigenoterapia poteva essere la causa di una sopravvenuta cecità" (V. certificato medico allegato in atti del 25/11/1999 )

Non di meno, le omissioni ( intenzionali o colpose) nella tenuta della cartella clinica, in relazione al decorso clinico del neonato, all'ossigenoterapia praticatagli ed alla misurazione dell'ossigeno somministrato, assurgendo a prova della responsabilità dei medici convenuti e della struttura ospedaliera per violazione di diligenza professionale ex art. 1176 , 20 comma c.c. , concorrono a rafforzare la sussistenza del nesso deterministico tra la somministrazione incontrollata e quindi imprudente di ossigenoterapia e l'insorgere della patologia ed il suo aggravarsi.

A tal fine va condiviso l'orientamento giurisprudenziale (Cass. 21/07/2003 n. 11316 ; Cass. 23/09/2004 n. 19133), secondo cui la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici e la patologia accertata, ave risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la "vicinanza alla prova", e cioè la effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla.

Deve pertanto sicuramente affermarsi che l'istruttoria ha evidenziato che gli eventi dannosi lamentati dallo attore discendono dalla responsabilità del dr R.L. e dal prof S.L. ,e dall' A.SL Lecce, in persona del Direttore generale pro tempore, nelle loro rispettive qualità. I primi responsabili ai sensi dell'art. 2043 c.c. poiché in relazione alle loro specifiche competenze e specializzazioni non hanno affrontato il caso de quo con la dovuta diligenza e perizia.

Per ciò che concerne l'azienda ospedaliera , essa è responsabile ai sensi degli artt. 2049 c.c. 1218 e 1228 c.c.

Ed invero la stessa non si è attivata al fine di garantire livelli di efficienza del personale, nonché delle necessarie ed adeguate attrezzature ed apparecchiature, conformemente a quanto prescritto dai protocolli e dalle raccomandazioni medico-scientifiche già note all'epoca dei fatti.

Lo stesso dr. M. a tal proposito riferisce che:

L'insieme di questi requisiti oggi garantiti quasi ovunque, difficilmente poteva essere garantito nel 1984 presso la Sezione Immaturi dell'Ospedale di Lecce Il ( cfr. C.T.U. pag. 25 ), osservazione che lungi dall'escludere o attenuare profili di responsabilità dei medici convenuti, conferma pienamente la sussistenza di autonomi profili di responsabilità dell' ente sanitario predetto.

Per le considerazioni che precedono, accertata per l'occorso la responsabilità dei convenuti, gli stessi vanno condannati in solido a risarcire i danni subiti dall'attore.

In ordine al quantum debeatur per gli stessi, condividendo le conclusioni del testo Luvoni- Mangili -Bernardi ed. 1986 che valuta la cecità completa bilaterale nella misura del 100% dell'invalidità permanente, tenuto conto delle tabelle in uso presso il Tribunale di Lecce, il danno biologico va liquidato in euro 674.780,00 .

All'attore compete altresì il rimborso del danno morale pari ad 1/2 di quello biologico e che viene determinato in euro 337.390,00 tenuto conto dell'elevato grado d'intensità delle sofferenze psichiche sopportate dal B., nonchè delle inevitabili ripercussioni di difficoltà nell'ambito del vivere quotidiano, della sfera privata-sentimentale-amicale, delle aspettative frustrate nello studio e nell'ambito lavorativo.

Quindi allo stesso spettano complessivamente euro 1.012.170,00.

Trattandosi di somma determinata al valore del 2006, alla stessa va aggiunta la rivalutazione monetaria dal 2007 al soddisfo .

Andranno altresì corrisposti gli interessi legali da calcolarsi secondo il noto principio della Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 1712/95 ovvero devalutando le somme sino alla data dell'occorso, che per semplificazione viene fissata al giorno della nascita: 26/05/'84, e da quelle rivalutandole anno per anno secondo gli indici ISTAT e sulle somme così rivalutate si dovranno applicare gli interessi legali sino al soddisfo.

Le spese di lite seguendo la soccombenza sono poste a carico delle parti convenute in solido e sono liquidate come da dispositivo.

Vengono poste definitivamente in solido le spese della C.T.U. a carico delle parti convenute soccombenti disponendo l'eventuale rimborso se anticipate pro- quota dalla parte attorea .

P.T.M.

Il Giudice Onorario di Tribunale, dr.ssa Maria Carmela Tinelli in funzione di Giudice Unico del Tribunale di Lecce, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal sig. B.A., nei confronti dell' A.SL Lecce, in persona del Direttore generale pro tempore, anche in qualità di liquidatore della soppressa U.S.L. LE e del dr R.L. nonché contro il prof. S.L., con atto di citazione del 18/11/2004 ritualmente notificato, ogni altra istanza, difesa od eccezione rigettata, così provvede:

1. Dichiara che l'attore ha riportato la totale cecità ad entrambi gli occhi per cause direttamente imputabili al comportamento professionale colposo del dr. R.L. e del prof. S.L., in servizio entrambi, all'epoca dei fatti presso l'ospedale" Vito Fazzi " di Lecce, con concorrente responsabilità dell' A.SL Lecce, in persona del Direttore generale pro tempore .

2. Per l'effetto, condanna in solido il dr. R.L., il prof. L.. nonché l' A.SL Lecce, in persona del Direttore generale pro tempore , anche in qualità di liquidatore della soppressa U.SL LE, al pagamento in favore dell'attore dei danni subiti che si liquidano in complessivi euro 1.012.170,00 oltre rivalutazione monetaria dal 2007 al soddisfo ed interessi legali da calcolarsi secondo i criteri individuati nella parte motiva e con decorrenza dalla data della nascita dell'attore: 26/05'84 sino all'effettivo soddisfo.

3.Condanna le parti convenute in solido al pagamento in favore dell'attore delle competenze di lite del presente giudizio che, si liquidano in complessivi euro 20.250,00 di cui euro 5.400,00 per la fase di studio, euro 2.700,00 per la fase introduttiva , euro 5.400,00 per la fase istruttoria , euro 6.750,00 per la fase decisoria, Iva e Cap come per legge, con distrazione in favore dell'avv. antistatario .