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E' tenuto al risarcimento del danno l'odontaiatra che abbia anticipato l'estrazione di un premolare.

Sarebbe stato corretto aspettare il recupero del canino prima di procedere alla estrazione del premolare e, una volta constatata l'impossibilità del canino di erompere, eseguire una adeguata terapia di compromesso, per cui il premolare prende il posto del canino.

Tribunale di Brindisi – Sezione unica civile, dott. Gabriella Del Mastro – Sentenza n. 430 del 5 marzo 2013.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Brindisi, sezione civile, in persona del Giudice Unico, dott.ssa Gabriella Del Mastro ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n.326/07 del ruolo generale contenzioso civile avente per oggetto "responsabilità professionale ", trattata e passata in decisione all'udienza del 21.11.2013 con l'assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memoria di replica

TRA

R.I., elettivamente domiciliata in Mesagne                                                                                             ATTRICE

CONTRO

V.A.L., 

CONVENUTO

NONCHE'

ALLIANZ s.p.a. (già RAS s.p.a.), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Brindisi                                                          TERZA CHIAMATA IN CAUSA

All'udienza del 21.11.2013, precisate le conclusioni come da relativo verbale in atti, la causa veniva trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionale e memorie di replica.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Si omette lo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 132 co. 2 n.4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 legge n.69/2009, applicabile ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore (4.7.2009) della citata legge n.69

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l'eventuale responsabilità del medico, libero professionista, va ricondotta all'inadempimento di un contratto di prestazione d'opera professionale stipulato con il paziente, sicchè è ravvisabile a suo carico una responsabilità contrattuale derivante dalla fattispecie del c.d. contatto sociale.

Il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria è, pertanto, di dieci anni, con la conseguenza che, nel caso di specie, anche a voler ritenere che il rapporto tra le parti sia cessato nel 2000 (come dedotto dal convenuto), comunque, il diritto attoreo non sarebbe prescritto, poiché l'atto di citazione è stato notificato nel 2007.

Nel merito, la domanda è fondata per quanto di ragione.

E' noto che la responsabilità del medico per i danni causati al paziente, postula la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della prestazione professionale, tra i quali quello di diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività ex art. 1176 comma 2 c.c.

A norma dell' art. 2236 c.c., applicabile anche ai medici, inoltre, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave.

Orbene, nel caso di specie, non vi è prova dell'asserita difficoltà dei trattamenti eseguiti dal convenuto.

Solo il ctu fa un accenno alla difficoltà del caso ma al solo fine di evidenziare la imprevedibilità "dell'esito di una inclusione del canino" e dunque la opportunità di attendere il recupero del canino prima di procedere alla estrazione del premolare.

Escluso dunque che nel caso di specie la prestazione professionale del convenuto involgesse la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità, si tratta di verificare se il dott. L., nello svolgimento della sua attività, abbia usato la diligenza media ex art. 1176 c.c.

Sotto il profilo dell'onere della prova, "nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, l'attore ha il solo onere di allegare e provare l'esistenza del contratto e di allegare e provare l'esistenza del nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso, pur essendo sussistente, non è stata la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore" (Cass. SS.UU. n.577/2008).

Il nesso di causalità tra la condotta dello specialista e il danno, poi, può ritenersi provato quando appaia "più probabile che non" che un diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno.

Una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell' art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta (Cass. n.12686/2011).

In applicazione dei suesposti principi era onere dell'attrice provare l'esistenza del contratto con il convenuto ed allegare l'inadempimento (o comunque l'inesatto adempimento) delle prestazioni professionali svolte dal dott. L. e del nesso di casualità esistente tra i danni lamentati e l'errato intervento ortodontico, restando invece a carico del convenuto la prova che la prestazione era stata eseguita in modo diligente e che il danno era stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile.

Tanto premesso, è incontestato che l'attrice si sia sottoposta ad un ciclo di cure ortodontiche effettuate dal dotto L.

Ciò posto, con riguardo all'operato del convenuto, dalla espletata consulenza tecnica d'ufficio - le cui conclusioni possono ritenersi pienamente condivisibili in quanto basate su un compiuto esame anamnestico ed obiettivo e su uno studio ed una valutazione adeguati e coerenti degli elementi desunti da tale esame e dalla documentazione sanitaria prodotta - è emerso che"il comportamento del sanitario è stato corretto nella fase diagnostica e di impostazione del trattamento ortodontico, preceduta dalla prescrizione ed esecuzione di indagini radiografiche obbligatorio (Opt e Telecranio), nonché analisi dei modelli in gesso delle arcate dentarie; corretta, altresì, è stata la scelta terapeutica iniziale di aumentare i diametri trasversi delle arcate con apparecchio mobile, stante la notevole contrazione delle stesse con conseguente affollamento dentario, trovandosi la paziente in fase di crescita".

Viceversa, il comportamento del convenuto è censurabile, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, nella seconda fase terapeutica, allorquando in dentatura mista tardiva e con apparecchiatura ortodontica fissa, proseguiva nella sua terapia, finchè nel 2002, stante la mancata eruzione del 13 in arcata, il dott. L. richiese ulteriori approfondimenti radiografici (rx occlusale sup.) decidendo di praticare il lembo e, contestualmente, di estrarre il 14.

Al riguardo, il ctu afferma che "attesa la distanza del canino dal piano occlusale, l'inclinazione dello stesso, nonché la distanza della linea mediana, ( ... ) corretto sarebbe stato aspettare il recupero del canino stesso prima di procedere alla estrazione del premolare e, una volta constatata l'impossibilità del canino di erompere, eseguire quella terapia di compromesso, per cui il premolare prende il posto del canino".

Il ctu conclude, pertanto, che alla inesatta esecuzione della prestazione professionale è riconducibile la perdita irreversibile di un elemento dentario (14), estratto ai fini di ulteriore recupero dello spazio in arcata.

Per contro, la asserita perdita di vitalità dell'incisivo centrale di destra non è stata dal ctu riscontrata all'esame obiettivo intraorale e comunque non avrebbe nulla a che fare con l'attività svolta dal medico convenuto, essendo la stessa di chiara natura traumatica; altrettanto inesistenti ed erroneamente attribuite alla presunta responsabilità del convenuto sono le perdite del 13 e del 24, allo stato presenti (incluso il primo, in arcata il secondo).

Acclarati dunque la perdita di un elemento dentario e il nesso di casualità tra detta perdita e la negligente condotta del convenuto, questi avrebbe dovuto fornire la prova liberatoria in ordine alla insussistenza del nesso causale.

Tuttavia, è mancata la prova non solo del carattere eccezionale dell'evento lesivo, ma anche dell'esatto adempimento della prestazione medica, mostrando le risultanze istruttorie come l'intervento ortodontico non sia stato correttamente eseguito.

Né il nesso di causalità può dirsi interrotto dall'habitus negligente che il ctu attribuisce all'attrice, atteso che siffatta circostanza non ha alcuna efficacia causale rispetto alla estrazione del dente 14, che rappresenta l'unico danno riconducibile alla negligenza del convenuto.

Per ciò che concerne la quantificazione del danno, il CTU ha stabilito che, in relazione alla perdita di un elemento dentario, l'ITT si è protratta per gg 7, l'ITP per 25 gg, e che sono residuati postumi permanenti, valutati nella percentuale dello 0,5%,.

Va, quindi, precisato che il danno non patrimoniale costituisce, secondo l'insegnamento dominante, una categoria unitaria (cfr. Cass. Sez. Un. 26972/08) e che, pertanto, il riferimento alle "sottovoci" del danno biologico, del danno esistenziale e del danno morale soggettivo svolge semplicemente una funzione di semplificazione espositiva, ferma restando -si ribadisce- la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale.

Ciò premesso, sulla base dei criteri fissati dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano per il 2013 (che, come affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n.12408 del 7.6.2011 "costituiscono d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi "equo" e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentare o ridurne l'entità"), il danno non patrimoniale va liquidato, equitativamente, nella somma di € 3.l84,50, sulla base del seguente calcolo per "sottovoci": danno biologico € 2.547,50 (ITT € 672,00, in ragione di € 96,00/d; ITP al 50% € 1.200,00, in ragione di € 48,00/d; IP 0,50% € 675,50) + danno morale soggettivo.

Deve inoltre essere riconosciuto all'attrice l'ulteriore somma di euro 4.200,00 necessaria, sulla base delle condivisibili valutazioni del ctu, per impianto endosseo e relativa capsula.

Non può essere attribuito all'attrice il costo per la esecuzione di una terapia ortodontica, poiché detto costo non è conseguenza dell' inadempimento del convenuto, atteso che l'intervento di quest'ultimo ha comunque migliorato le condizioni patologiche dell' attrice che erano ben più gravi di quelle attuali.

Non può, poi, essere risarcito autonomamente il danno da incapacità lavorativa e cioè la incidenza delle lesioni sull'attività lavorativa svolta in concreto dal danneggiata.

Il danno da incapacità lavorativa specifica, distinto dal danno dall'incapacità a svolgere le normali occupazioni che rientra nel danno biologico, può essere risarcito esclusivamente in presenza di una chiara prova da parte del danneggiato di avere subito un pregiudizio economico sotto questo profilo.

Il danno alla produttività da lavoro può essere quindi risarcito solo con il presupposto di una perdita reale, rigorosamente provata ex art. 2697 c.c., dal prestatore d'opera, il quale deve dimostrare l'esistenza di una concreta ed effettiva riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, abbia dato luogo ad una concreta ed effettiva riduzione di guadagno.

Nel caso di specie, l'attrice non ha assolto all'onere probatorio sulla stessa gravante.

Infine, non compete all'attrice il diritto alla restituzione degli importi pagati al convenuto, trattandosi del prezzo di un contratto validamente concluso, regolarmente eseguito e relativamente al quale non è stata chiesta la risoluzione.

In conclusione il convenuto va condannato al pagamento in favore dell'attrice al pagamento della complessiva somma di euro 7.384,50.

Trattandosi di debito di valore, liquidato all'attualità, il convenuto va condannato al pagamento della somma sopra indicata, devalutata alla data dell'intervento e, quindi, annualmente rivalutata in base agli indici Istat e sulle somme annualmente rivalutate competeranno gli interessi legali sino alla pubblicazione della sentenza.

Dalla pubblicazione della sentenza al saldo competeranno sulla somma complessiva come sopra determinata i soli interessi legali.

Deve, infine, essere esaminata la domanda di manleva formulata dal convenuto nei confronti dell' Allianz s.p.a, di cui ha chiesto la chiamata in causa.

Il rapporto assicurativo intrattenuto dal convenuto con l'Allianz s.p.a. è cessato il 22/7/2000.

Dalla ctu e dalla documentazione in atti è emerso che l'attività professionale da cui è derivato un danno all'attrice (ossia la estrazione del dente 14) è stata eseguita in epoca successiva alla scadenza del contratto assicurativo.

Il ctu, al riguardo, ha accertato che l'estrazione del dente è avvenuta in un periodo compreso tra il 3/7/2002 e il 16/10/2003.

Siffatta conclusione si evince dalla documentazione in atti: ed invero, l'elemento dentario 14 è presente nella radiografia occlusare del 2001 mentre manca in quella del 16.10.2003.

Alla luce della incontestabile documentazione è evidente che la estrazione dentaria è sicuramente avvenuta in epoca successiva al 22/7/2000, con conseguente inoperatività della polizza assicurativa.

In considerazione della riduzione del quantum, il convenuto L.V.A. va condannato alla rifusione parziale (nella misura di 1/2) delle spese del giudizio sostenute dall'attrice, ritenendo il Tribunale di disporre, sussistendo giusti motivi, la compensazione tra le stesse parti, quanto alla residua metà.

Il convenuto va altresì condannato al pagamento delle spese del giudizio in favore della Allianz s.p.a., avendone ingiustificatamente provocato la chiamata in causa.

Le spese di ctu vengono definitivamente poste a carico dell'attrice e del convenuto nella misura del 50% ciascuno.

P. Q. M.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da R.I. nei confronti di L.V.A. e Allianz s.p.a., così provvede:

1. accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto, condanna L.V.A. al pagamento in favore dell'attrice della somma di € 7.384,50, a titolo di risarcimento danni, oltre interessi legali da computarsi su tale somma, devalutata alla data dell'intervento ed annualmente rivalutata secondo indici ISTAT, con decorrenza dall'ottobre 2002 e sino alla presente sentenza, e, per il periodo successivo alla data di pubblicazione della sentenza e sino al saldo, sulla somma complessiva come innanzi determinata;

2. condanna il convenuto L.V.A. al pagamento di metà delle spese del giudizio sostenute dall'attrice, liquidate nell'intero in complessivi € 2.400,00 (di cui € 400,00 per spese, 1.900,00 per competenze), oltre i.v.a. e c.a.p.; dichiara compensata tra le stesse parti la residua metà;

3. condanna il convenuto L.V.A. al pagamento in favore dell' Allianz s.p.a. delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 1.400,00 per compensi, oltre IV A e CP A come per legge

4. pone le spese di ctu definitivamente a carico dell'attrice e del convenuto nella misura del 50% ciascuno.

Brindisi, 4 marzo 2014