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Danno da emotrasfusione e risarcimento del danno morale da decesso del congiunto.

Il danno di natura non patrimoniale ed essenzialmente riconducibile al c.d. danno morale da decesso del congiunto e da conseguente perdita del rapporto parentale va liquidato in via equitativa, tenendo conto della indubbia sofferenza provocata agli attori dalla perdita del congiunto, ma pure dell' età comunque avanzata di quest'ultimo al momento del decesso.

Tribunale di Lecce – Sezione civile, dott. Michela De Lecce – Sentenza n. 1898 del 18 giugno 2013.

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IREPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

Il Tribunale di Lecce

in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Michela De Lecce, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta nel ruolo generale sotto il numero d'ordine 547912008,

TRA

O.A. + 7,                                                    ATTORI

E

MINISTERO della SALUTE, In persona del Ministro p.t., con l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, CONVENUTO

All'udienza dell'8.1.2013, la causa è stata introitata per la decisione sulle conclusioni dei procuratori costituiti rassegnate a verbale, previa concessione dei termini di cui all'art.l90 C.p.c ..

FATTO E DIRITTO

Preliminarmente si evidenzia che la presente sentenza viene redatta ai sensi dell'art.132 comma 2 nA) c.p.c., così come modificato dalla legge n.69/09.

La domanda ha per oggetto l'accertamento della responsabilità del convenuto nella causazione della morte di A.C. (moglie del primo e madre degli altri istanti in epigrafe indicati), avvenuta il 21.10.2004, quale conseguenza del contagio da virus HCV subito dalla prefata in occasione della trasfusione di sangue praticatale nel Policlinico di Bari, dopo l'intervento chirurgico del luglio 1972.

Negli anni successivi le condizioni fisiche della prefata erano soddisfacenti, nonostante l'astenia e la sensazione di tensione gravativa nell'ipocondrio destro, finchè, nell'ottobre 2001, le stesse si aggravavano, per cui l'A. si sottoponeva a vari accertamenti, da cui risultava, nel 2003, la positività al virus dell'epatite C; quindi la stessa decedeva, nell'ottobre 2004.

Successivamente, in virtù di domanda presentata il 12.2.04, le è stato riconosciuto l'indennizzo ai sensi della legge n.21 0/1992, pari ad euro 4.380,48, liquidato in favore degli eredi nel novembre 2007.

Gli attori hanno quindi chiesto la condanna del convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale ricevuto dalla de cuius e rivendicato iure hereditario, nonché di quello iure proprio per il suo decesso, con vittoria di spese e compensi di lite.

Costituitosi, il Ministero ha eccepito la prescrizione del diritto e l'infondatezza della domanda, nonché la necessità di considerare l'avvenuta attribuzione dell'indennizzo ex legge n.210/1992.

La causa è stata istruita con l'acquisizione della documentazione prodotta e l'espletamento di c.t.u. medico-legale.

Prima di valutare l' an ed il quomodo della fondatezza della pretesa attorea, è necessario soffermarsi sull' eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, che risulta infondata.

Invero, richiamando (e rinviando integralmente a) quanto argomentato nella sentenza n.581/08 delle S.U. della Cassazione, a proposito del termine di decorrenza della prescrizione del diritto di che trattasi, il dies a quo coincide non con il giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o con il momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì con il momento in cui essa viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza, tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.

In tale prospettiva, allora, assume rilievo non il responso delle Commissioni mediche ospedali ere, di cui all' art.4 della legge n.210/1992 (per le ragioni indicate nella citata sentenza), e, per le medesime considerazioni, neppure l'eventuale accertamento compiuto dall'autorità giudiziaria adita dall'interessato per il riconoscimento del proprio diritto all'indennizzo, bensì la proposizione della domanda di indennizzo: infatti, "tenuto conto che l'indennizzo è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche".

Nel caso di specie, l'istanza in via amministrativa risulta essere stata proposta il 12.2.2004, sicchè lo stesso termine non può dirsi decorso alla data di avvio del presente giudizio.

Né si ravvisano elementi idonei a comportare una retrodatazione del predetto dies a quo rispetto alla indicata data del 12.2.04, ove si consideri che dalla documentazione in atti, ed in particolare dal verbale della C.M.O. del 15.11.06, emerge che solo nel dicembre 2001, dopo esami ematochimici di controllo, è stata riscontrata la positività all'anti-HCV, il che ben può giustificare che soltanto nel febbraio 2004 la prefata abbia richiesto l'indennizzo di cui alla legge n.210/92, dopo aver preso piena coscienza della malattia, delle sue conseguenze e del suo collegamento causale con la pregressa emotrasfusione, quale fatto cagionatore del danno subito.

Pertanto, come innanzi anticipato, l'eccezione preliminare in esame appare destituita di fondamento.

Peraltro, vale pure la pena di osservare che, almeno con riferimento alla domanda risarcitoria formulata iure proprio, gli attori beneficiano del più lungo termine prescrizionale previsto per il reato di omicidio colposo, quale è sicuramente ravvisabile nella fattispecie, posto che la loro pretesa è legata alla morte della A., in quanto causata dal contagio subito in occasione della trasfusione di che trattasi.

In definitiva, l'eccezione de qua va disattesa.

Venendo al merito della controversia, giova richiamare alcuni passaggi di alcune delle famose dieci sentenze contestualmente emesse in materia dalle Sezioni Unite.

In particolare, nella sentenza n.576/08, in ordine all' an ed al quomodo della responsabilità del Ministero della Salute, alla luce della disciplina normativa sul punto, si legge che «la L. n.592 del 1967 (art. 1) attribuisce al Ministero le direttive tecniche per l'organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, alla preparazione dei suoi derivati e ne esercita la vigilanza, nonché (art. 21) il compito di autorizzare l'importazione e l'esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico.

l D.P.R. n. 1256 del 1971 contiene norme di dettaglio che confermano nel Ministero la funzione di controllo e vigilanza in materia (artt. 2, 3, 103, 112). La L. n.519 del 1973 attribuisce all 'Istituto superiore di sanità compiti attivi a tutela della salute pubblica. La L. 23 dicembre 1978 n.833, che ha istituito il Servizio sanitario Nazionale conserva al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale ed a compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (art.6Iett. b, c), mentre l'art.4 n.6 conferma che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale. Il D.L. n.443 del 1987 stabilisce la sottoposizione dei medicinali alla c.d. "farmacosorveglianza" da parte del Ministero della Sanità, che può stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio ed emettere provvedimenti cautelari sui prodotti in commercio.

Ne consegue che, anche prima in vigore della L. 4 maggio 1990 n.l07, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria.

L'omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell 'interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.

. .... La responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti ad infezioni da HIV e da epatite, contratte da soggetti emotrasfusi per l'omessa vigilanza esercitata dall'Amministrazione sulla sostanza ematica negli interventi trasfusionali e sugli emoderivati, appare inquadrabile nella violazione della clausola generale di cui all 'art. 2043 c.c ..

Va esclusa anche una responsabilità del Ministero ex art.2049 c.c., non potendo il Ministero rispondere degli eventuali fatti dannosi delle strutture sanitarie, in quanto manca un rapporto di preposizione tra il Ministero e le persone giuridiche pubbliche (Asl, Aziende ospedaliere), tutte dotate di piena autonomia, capacità e responsabilità.

Proprio per la piena autonomia giuridica, rispetto allo Stato, dell 'Ente erogatore dei servizi sanitari va esclusa una responsabilità contrattuale del Ministero.

Tale rapporto contrattuale si instaura solo tra il paziente e la struttura sanitaria e dalla giurisprudenza più recente viene considerato in termini autonomi dallo stesso rapporto tra paziente e medico (fondato su altro "fatto idoneo" di cui all'art.1l73 c.c., e cioè il contatto sociale) e qualificato come contratto atipico di "spedalità" o di "assistenza sanitaria ".

Ed ancora, nella sentenza n.581108, dopo una ricca dissertazione sui requisiti necessari per configurare il nesso causale nella responsabilità ex art.2043 c.c. (anche mutuando dal diritto penale ed indicando analogie e diversità rispetto alla relativa categoria), la Corte evidenzia che "con sentenza 31/05/2005, n. 11609, osservava che, finchè non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale i virus della HIV, HBV, HCV, proprio perché l'evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l'evento lesivo, in quanto all'interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l'omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutto inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l'attività omessa.

La Corte di legittimità, quindi, riteneva esente da vizi logici la sentenza della Corte di appello, che aveva ritenuto di delimitare la responsabilità del Ministero a decorrere dal 1978 per l 'HBV (epatite B), dal 1985 per l 'HIV e dal 1988 per l 'HCV (epatite C), poiché solo in tali rispettive date erano stati conosciuti dalla scienza mondiale rispettivamente i virus ed i tests di identificazione.

Ritengono, invece, queste S. U (in conformità a quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina) che non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto - contagio infettivo ­lesione dell 'integrità.

Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell 'epatite B ... sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell 'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge. " (così nella sent. cit.).

Nel caso di specie, la trasfusione, come già visto, risale al 1972.

Sennonché può comunque configurarsi il nesso causale di che trattasi, ove si consideri che, pur non essendo ancora stato isolato, a quell'epoca, il virus dell'epatite C, tuttavia vi erano conoscenze scientifiche sufficienti circa i rischi, presenti in una emotrasfusione, di contagio di malattia epatitica cronica od a trasmissione per Via trasfusionale. In particolare, nella circolare del Ministero n.50 del 28.3.1966 si raccomandava la verifica dei valori delle transaminasi e, a fronte di risultati abnormi (GOT superiore a 40 VI e GPT superiore a 30VI), si raccomandava la sottoposizione del donatore ad ulteriori accertamenti e l'adozione di cautele nell'uso del suo sangue.

In ogni caso, già nel 1965 era stato scoperta nel sangue di un aborigeno australiano una sostanza, denominata antigene Australia, che poi fu identificata con l'antigene di superficie del virus dell'epatite B, in seguito sicuramente reso individuabile con metodi avanzati tra il 1971 ed il 1972, mentre subito dopo è stata accertata l'esistenza di una terza forma di epatite virale diversa dalla A e dalla B e perciò detta NANB (si rinvia integralmente all'approfondimento sul punto svolto nella relazione di c.t.u.).

In buona sostanza, all' epoca della trasfusione effettuata dalla A. il rischio di un contagio da epatite C (ovvero NANB) era già prevedibile e prevenibile attraverso una serie di accorgimenti e precauzioni, raccomandati dalla Comunità scientifica internazionale, quali markers surrogati (transaminasi, ricerca anti HBc), limitazione del ricorso alla pratica trasfusionale, selezione delle donazioni di sangue mediante accurata anamnesi del donatori, accorgimenti e precauzioni che il Ministero avrebbe dovuto imporre adottando disposizioni specifiche e dettagliate in proposito. In mancanza, il convenuto risulta certamente responsabile di una condotta omissiva, causalmente collegata al contagio in concreto verificatosi.

E' appena il caso di ricordare l'esito degli accertamenti espletati dalla Commissione medica ospedaliera di Bari a seguito della domanda di indennizzo ex legge 210/1992: la stessa ha concluso per la sussistenza del nesso causale tra la trasfusione praticata alla de cuius e l'epatite cronica cirrotica HCV correlata, che ha 'concausato' il suo decesso.

La Commissione medica, dunque, ha accertato la riconducibilità causale al contagio in questione non solo delle iniziali infermità della A., ma pure della sua morte, in quanto cagionata da dette infermità.

Ad analoghe conclusioni è giunto il nominato c.t.u ..

Passando alla valutazione più specifica della pretesa risarcitoria, giova ricordare che la stessa è stata avanzata dagli odierni istanti sia iure hereditario che iure proprio.

Sotto il primo profilo soccorre la c.t.u. espletata nel presente giudizio, atteso che il consulente non solo ha affermato la compatibilità sul piano eziologico tra la trasfusione effettuata nel corso del ricovero del 1972 presso il Policlinico di Bari e l'infezione da HCV contratta dalla de cuius, ma ha poi quantificato nel 60% la percentuale di invalidità permanente riferibile alla patologia epatica, evidenziando, sul piano della capacità lavorativa, che i postumi della patologia hanno impedito, sin dal suo accertamento diagnostico, ogni attività lavorativa.

Su quest'ultimo punto, tuttavia, che peraltro non è stato oggetto di specifica richiesta di risarcimento del relativo danno patrimoniale, vale la pena di osservare che detto accertamento è intervenuto in un'epoca, il 2001, in cui l'A. era già al di fuori di possibili prospettive di lavoro, avendo 78 anni di età.

Dunque la pretesa iure hereditario va limitata al profili non patrimoniali.

In proposito, giova ricordare il recente arresto delle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n.26972/08, con cui è stato affermato che il danno non patrimoniale, previsto dall'art.2059 c.c., è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente denominate e si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, l'ambito della cui risarcibilità si ricava dalla individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela, posto che trattasi di danno caratterizzato da tipicità e dunque risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui la lesione abbia riguardato specifici diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

Deve poi considerarsi la più recente decisione della III Sezione della Cassazione (la n.12408/20 Il), che ha ritenuto di applicare in via generale le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale (si rinvia alla lettura di detta sentenza).

Su tali premesse, il danno in questione può essere calcolato in misura pari ad euro 440.000,00, già incrementata per effetto della c.d. personalizzazione prevista dalle tabelle milanesi, tenuto conto dell' età dell'interessata al momento di verificazione dell'illecito ed al momento della sua concreta manifestazione, della innegabile sofferenza morale, oltre che fisica, cagionatale dalla malattia sorta a seguito del contagio, del lasso temporale intercorso tra detta manifestazione ed il decesso della medesima.

Tale somma va decurtata di quanto ricevuto dagli attori a titolo di indennizzo ex legge n.2l0/92 (pari, come visto, ad euro 4.380,48).

In proposito, è persino superfluo rilevare la diversità delle due pretese, quella indennitaria e quella risarcitoria, e dunque la conseguente loro cumulabilità, salvi i generali limiti in materia di iniusta locupletatio.

Invero, « ... la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria ex L. n.210 del 1992 e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione infetta da Hiv ed Hcv a seguito di un giudizio di responsabilità promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità, per aver omesso di adottare adeguate misure di emovigilanza, non osta a che l'indennizzo corrisposto al danneggiato sia integralmente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento, posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato, di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento» (Cass. S.D. n.584/2008).

Pertanto, essendo liquidata all'attualità la somma di euro 440.000,00, occorre rivalutare dal novembre 2007 ad oggi quella corrispondente all'indennizzo, per poi sottrarla alla prima più elevata.

Quanto alla pretesa iure proprio, in mancanza di prova in ordine ad eventuali specifici aspetti di tale danno, lo stesso, sempre di natura non patrimoniale ed essenzialmente riconducibile al c.d. danno morale da decesso del congiunto e da conseguente perdita del rapporto parentale, va liquidato in via equitativa, tenendo conto della indubbia sofferenza provocata agli attori dalla perdita della moglie e madre, ma pure dell' età comunque avanzata di quest'ultima al momento del decesso, nonché dell'età dei figli alla data della morte della genitrice, che rende ragionevole presumere che gli stessi si fossero resi da tempo indipendenti dai genitori, probabilmente costituendo propri nuclei familiari.

Pertanto, risulta equo riconoscere in favore del coniuge la somma di euro 180.000,00 ed in favore di ciascun figlio quella di euro 155.000,00, tutte liquidate all'attualità.

Le spese del giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza, così come vanno poste definitivamente a carico del convenuto le spese della c.t.u ..

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da O.A. + 7, in proprio e quali eredi di A.C., con atto di citazione notificato 1'8.9.2008, nei confronti del Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., così provvede:

accoglie la domanda attorea e, per l'effetto, condanna il convenuto Ministero al pagamento, in favore degli attori, della somma di euro 430.000,00, previa decurtazione della somma di euro 4.380,48 maggiorata degli interessi legali dal dicembre 2007 ad oggi, a titolo di risarcimento del danno iure hereditario, nonché, a titolo di risarcimento del danno iure proprio, in favore di O.A., della somma di euro della somma di euro 180.000,00 e, in favore di ciascuno degli altri attori, della somma di euro 155.000,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo;

condanna il convenuto al pagamento, in favore degli attori, delle spese processuali, che liquida in euro 352,19 per spese vive ed euro 4.500,00 per onorario, oltre accessori come per legge;

pone definitivamente a carico del convenuto le spese della c.t.u ..

Lecce, 22.5.2013