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In caso di tardiva asportazione di un neo degenerato in melanoma, l'Asl è tenuta al risarcimento a meno che tale ritardo sia dovuto ad una condotta negligente del paziente.

Nel processo civile la regola probatoria - a differenza di quanto accade nel processo penale, ove vige la formula "oltre il ragionevole dubbio" - si caratterizza invece per la preponderanza dell'evidenza, divenendo la regola del "più probabile che non".

Tribunale di Lecce – Prima sezione civile, dott. Federica Sterzi Barolo – Sentenza n. 1314 del 1 aprile 2014.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lecce, Prima Sez. Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dr.ssa Federica Sterzi Barolo ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 5825/2008 R.G., vertente

TRA

P.M.P., ATTRICE

CONTRO

AZIENDA SANITARIA LOCALE LECCE, in persona del legale rappresentante p.t., CONVENUTA

UGF Assicurazioni S.p.a., In persona del legale rappresentante p.t., TERZA CHIAMATA

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, P.M.P. ha convenuto in giudizio l'ASL LECCE al fine di ottenere la condanna della medesima al risarcimento del gravissimo danno subito a causa dell'imperizia dei sanitari del P.O. Santa Caterina Novella di Galatina, i quali, a dire della predetta, al momento delle dimissioni dall'ospedale in data 17.12.2002, non segnalavano al sig. C.A., coniuge dell'attrice, l'opportunità/necessità di effettuare un successivo controllo del neo e/o di programmare con urgenza un nuovo intervento.

Riferiva in proposito che il proprio congiunto effettuava spontaneamente nel giugno del 2004, a distanza di due anni dalle predette dimissioni, una nuova visita di controllo dermatologica nel corso della quale gli veniva diagnosticato un melanoma maligno, inutilmente asportato nel luglio del 2004 presso l'ospedale Regina Elena di Roma.

La rapida evoluzione della neoplasia maligna portava poi il C. al decesso, avvenuto in data 23.11.2005.

Chiedeva pertanto la condanna dell' Azienda convenuta al risarcimento del danno iure proprio e iure hereditatis, nelle voci e nella misura compiutamente indicata in citazione.

Instaurato il contraddittorio, si costituiva l'Azienda Sanitaria Lecce la quale contestava il fondamento della domanda attorea chiedendone il rigetto.

Chiedeva inoltre l'autorizzazione alla chiamata in causa della Compagnia di Assicurazioni UNIPOL S.p.a ..

Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva UGF Assicurazioni S.p.a. (nuova denominazione della Compagnia Assicuratrice UNIPOL S.p.a.) che contestava la validità della chiamata in causa, in quanto effettuata da procuratore non munito di poteri in tal senso, e l'operatività della polizza, in quanto la richiesta di risarcimento risulta avanzata dopo il termine di 24 mesi dalla cessazione del contratto di assicurazione, avvenuta in data 1.4.03.

Nel merito contestava la fondatezza della pretesa avanzata dall'attrice nei confronti dell'Azienda convenuta e ne chiedeva il rigetto.

La causa veniva istruita documentalmente.

All'udienza del 28.5.2013 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

*********

Preliminarmente va ritenuta l'infondatezza dell'eccezione di nullità della chiamata in garanzia, avanzata da UGF Assicurazioni S.p.a.

Ed invero, secondo l'orientamento della Suprema Corte, che questo Giudice ritiene di condividere, perché il procuratore di una parte in giudizio possa promuovere giudizio di garanzia contro un terzo e chiamare in causa quest'ultimo, non occorre il rilascio di una nuova e diversa procura in calce o a margine della citazione per chiamata in garanzia, allorché nell'atto, contenente la procura originaria, risulti la chiara espressione della volontà della parte di autorizzare anche la proposizione del giudizio di garanzia (Giurisprudenza pacifica. Tra le tantissime, Cass. 21 maggio 1998 n. 5083; 19 novembre 1987 n. 8534, nonché, Cass. 27 luglio 1983 n. 5151).

Non controverso quanto precede, si osserva che nella specie la volontà dell'Azienda convenuta di chiamare in causa la Unipol Assicurazioni, al fine di essere garantita, era espressa, in maniera chiara e non equivoca, nella comparsa depositata il 18.12.2008, in margine alla quale era apposto il mandato ad litem.

L'eccezione va dunque rigettata perché infondata.

Passando all'esame della domanda attorea, la stessa è infondata per i motivi di seguito esposti.

Con riferimento alla responsabilità della struttura ospedaliera deve essere osservato che:

- la responsabilità della struttura sanitaria ha natura contrattuale sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto;

- tale contratto viene configurato come autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive, "contratto di spedalità" o di "assistenza sanitaria" e ad esso si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento stabilite dall'art. 1218 c.c. Per quanto concerne le obbligazioni mediche, che la struttura svolge attraverso i propri medici ausiliari, il fondamento di responsabilità dell'ente va individuato nell'inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili alla struttura che è tenuta a fornire al paziente "una prestazione assai articolata, che ingloba al suo interno, oltre la prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cosiddetti di protezione ed accessori";

- una volta inquadrata nell'ambito contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria nel rapporto col paziente, i criteri di ripartizione dell'onere probatorio sono quelli ordinariamente seguiti in materia contrattuale e fondati sui principi enunciati dalle Sezioni Unite con la nota sentenza 13533/01; ­

conseguentemente grava sul creditore ai sensi dell'art. 2697 c.c., sia che agisca per l'inadempimento dell'obbligazione, sia che domandi il risarcimento per inadempimento contrattuale, l'onere di provare il contratto relativo alla prestazione sanitaria ed il danno, nonché di allegare un inadempimento del debitore, e più precisamente un inadempimento "qualificato e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno"; ­

compete invece al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che pur essendovi stato non può configurarsi nella fattispecie come causa del danno.

Pertanto, è il danneggiato che agisce per l'affermazione della responsabilità del medico che ha l'onere di provare la sussistenza di un valido nesso causale tra fatto del sanitario e danno; solo fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell' art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.

Con particolare riferimento al nesso di causalità, è largamente recepito l'insegnamento secondo cui ai fini dell'accertamento della responsabilità del chirurgo occorre accertare un duplice nesso causale: quello tra la condotta illecita e la concreta lesione dell’interesse (c.d. causalità materiale), e quello tra quest'ultima ed i danni che ne sono derivati (c.d. causalità giuridica).

Secondo questa impostazione, nel caso di responsabilità per danno alla salute in ipotesi derivante da colpa del medico, occorre in primo luogo stabilire se dall'azione od omissione del medico sia derivata una lesione della salute; quindi - in caso affermativo ­accertare quali conseguenze dannose (in termini di sofferenza, compromissione della validità psicofisica, pregiudizi patrimoniali) ne siano derivate.

L'obbligo risarcitorio sorge dunque allorché siano positivamente accertati tre fatti giuridici (condotta, lesione e danno), legati da due nessi causali (causalità materiale tra la condotta e la lesione, causalità giuridica tra quest'ultima ed il danno).

L'accertamento del nesso di causalità materiale (quello tra condotta ed evento) deve essere compiuto, in qualsiasi branca del diritto, alla luce dei principi di cui agli arte 40 e 41 c.p. in base alla teoria della cd causalità umana, per contro, il nesso di causalità giuridica (quello tra evento e danno) va accertato in base al principio posto dall'art. 1223 cc.

La giurisprudenza (Cass. 5.1.2010 n. 25; Cass. 30.10.2009 n. 23059; Cass. 7-7-2009 n. 15895; Cass., sez. IlI, 15-02-2003, n. 2312) ha ripetutamente affermato che un valido nesso causale tra condotta ed evento può ritenersi sussistente allorché ricorrano due condizioni:

(a) che la condotta abbia costituito l’antecedente necessario dell'evento, nel senso che questo rientri tra le conseguenze "normali" del fatto (con l'avvertenza che il concetto di "normalità' non coincide con quello di "frequenza");

(b) che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento.

L'applicazione dei principi generali che regolano la causalità di fatto, delineati dagli art. 40 e 41 c.p. e temperati dalla regolarità causale, deve essere adeguata alle peculiarità delle fattispecie normative della responsabilità civile nel giudizio civile nel quale la regola probatoria, che nel processo penale è sintetizzata nella formula "oltre il ragionevole dubbio", si caratterizza invece per la preponderanza dell'evidenza, divenendo la regola del "più probabile che non".

Questo è il criterio che deve essere utilizzato nell'accertamento teso a ricollegare l'evento lesivo all'omissione ed a valutare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato.

Il giudice civile è, pertanto, tenuto ad accertare - nell'ipotesi come quella di specie in cui venga dedotta una condotta omissiva - se l'evento sia ricollegabile alla causalità omissiva, nel senso che esso non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli con esclusione di fattori alternativi (causalità ipotetica); val quanto dire che si sia raggiunta una prova sufficiente in ordine ad un profilo di colpa professionale che avrebbe potuto evitare, con ragionevole certezza ("più probabile che non"), la morte del paziente.

Il predetto ragionamento presuppone quale corollario imprescindibile che la condotta oggetto di doglianza, ovvero la condotta omessa, fosse legittimamente esigibile dal sanitario, nel senso che bisogna verificare la concreta ascrivibilità della predetta condotta al novero delle obbligazioni, anche accessorie, assunte dalla struttura sanitaria al momento del contatto con il paziente, o della conclusione con quest'ultimo del contratto di spedalità, che dir si voglia.

Tanto premesso, nel caso di specie, la condotta omissiva, oggetto di doglianza, non appare censurabile: ed invero, l'attrice ha dedotto che, al momento delle dimissioni del proprio congiunto, sanitari del P.O. di Galatina non hanno segnalato l'opportunità/necessità di effettuare un successivo controllo del neo e non hanno programmato un successivo intervento di asportazione.

In proposito va rilevato che è incontestato che il C. in data 11.12.2002 è stato ricoverato presso l'Unità operativa di medicina generale dell'Ospedale di Galatina in quanto, dopo essere stato sottoposto ad anestesia locale presso l'ambulatorio di chirurgia plastica per l'asportazione chirurgica di una neo formazione, manifestava stato ipotensivo, conati di vomito e sudorazione.

Presso il reparto di medicina generale, dunque, il C. veniva accettato con la diagnosi di "stato ipotensivo e vomito" e sottoposto ad accertamenti (esami del sangue e delle urine, esami ecocardiografici ecc.) diretti a verificare lo stato di salute generale del paziente, al fine di comprendere quali erano state le cause scatenanti dell'episodio lipotimico.

Ciò detto, a giudizio di chi scrive, nessuna valutazione spettava al reparto di medicina generale in ordine all' asportazione della neoformazione, atteso che la necessità­/opportunità della stessa era stata già segnalata dai sanitari del reparto di chirurgia plastica, presso il quale il C. era stato ricoverato in day hospital per l'asportazione del neo.

In altre parole, il fatto che il C. sia stato ricoverato per tutt'altre ragioni presso altro reparto, non ha comportato (né poteva-doveva comportare) alcuna nuova valutazione, neppure indiretta, su quella che era la patologia per cui era stato programmato l'intervento in chirurgia plastica.

Con la conseguenza che ovviamente, con riferimento al neo, rimanevano ferme le indicazioni di "consigliabilità" di tempestiva asportazione che avevano determinato il paziente a sottoporsi quel giorno all'intervento.

A fronte di quanto sopra detto, allora, spiace dirlo, ma la condotta negligente tenuta dal sig. C. che, a quanto consta agli atti, ha atteso due anni per sottoporsi ad un nuovo controllo della neo formazione - ovvero quando la stessa, come si evince dal certificato a firma del dott. Di Lorenzo prodotto sub doc 5 parte attrice, si era notevolmente estesa­ - deve considerarsi unica causa della mancata tempestiva asportazione della neoformazione e della conseguente diagnosi del melanoma in tempo utile.

La domanda attorea va dunque rigettata.

Il tenore della decisione e la complessità della questione giuridica trattata costituiscono giusto motivo per disporre la compensazione tra parte attrice e l'Azienda convenuta delle spese di lite nella misura di un mezzo.

Il non essere scesi all'esame del merito della domanda di garanzia giustifica l'integrale compensazione delle spese giudiziarie tra l'ASL e la UGF Assicurazioni.

P.Q.M.

Il Tribunale di Lecce, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:

1. Rigetta la domanda attorea.

2. Condanna parte attrice alla rifusione in favore dell' ASL Lecce di un mezzo delle spese di lite liquidato in complessivi euro 1.100,00 di cui euro 100,00 per spese ed euro 1.000,00 per compensi, oltre IVA e CPA come per legge.

3. Compensa integralmente tra l'Azienda convenuta e la UGF Assicurazioni S.p.a. le spese di lite.

Lecce, 5 febbraio 2014