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La struttura sanitaria è tenuta al risarcimento dei danni patiti dal feto a causa di una infezione da cocchi dovuta a carenze organizzative e di controlli.

Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare, ma non di provare, la colpa del medico; quest'ultimo, invece, ha l'onere di provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile. Pertanto, è il danneggiato che agisce per l'affermazione della responsabilità del medico che ha l'onere di provare la sussistenza di un valido nesso causale tra fatto del sanitario e danno; solo fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta (Cass. 18341/13).

Tribunale di Brindisi – Sezione unica civile, dott. Cosimo Almiento – Sentenza n. 1303 del 12 settembre 2014

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IN NOME DEL POPOLO lT ALIANO

Il Giudice Unico del Tribunale di Brindisi, Sezione Civile, dott. Cosimo Almiento, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile n.554111 R.G., passata in decisione all'udienza del 20.12.2013, tra

L.L., attrice, ,

e

ASL BR - AZIENDA SANITARIA LOCALE DI BRINDISI.

OGGETTO: Risarcimento del danno.

CONCLUSIONI PER L'ATTRICE:

Dichiarare la responsabilità dell' Azienda Sanitaria Locale BR/l per i danni subiti dall'attrice, descritti in citazione, condannando la struttura sanitaria convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti nella misura di euro 70.000,00 + 35.000,00 + 100.000,00 o di quella somma maggiore o minore determinata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria di spese e compensi, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

CONCLUSIONI PER L'AZIENDA SANITARIA LOCALE DI BRINDISI

Rigettare la domanda attorea, con vittoria di spese e compensi.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Con atto di citazione notificato del 10.03.2011 L.L. citava in giudizio l'Azienda Sanitaria Locale BR/l, esponendo:

- che il 2.9.2009 si era ricoverata presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale "Perrino' di Brindisi ed era stata sottoposta a taglio cesareo;

- che nelle ore successive al parto aveva cominciato ad accusare febbre e fortissimi dolori, nonché episodi emorragici;

- che successivamente era stata trasferita nel reparto infettivi dello stesso presidio ospedali ero;

- che era stata dimessa il 16.9.2009 con la diagnosi di "sepsi puerperuale in paziente sottoposta a taglio cesareo. Steatosi epatica focale";

- che detta sepsi, consistente in una infezione delle vie genitali femminili determinata da batteri, aveva comportato un notevole allungamento del periodo di degenza e della successiva convalescenza, postumi di natura permanente, trauma acuto con riduzione di funzioni della psiche;

- che chiedeva il risarcimento dei danni (biologico, morale, esistenziale), patiti a causa dell'evento descritto.

Tanto premesso chiedeva che fossero accolte le conclusioni di cui in epigrafe.

Si costituiva in giudizio l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, esponendo:

- che non sussisteva alcun rapporto di causalità tra l'operato dei medici e l'evento lesivo della salute; che nessuna omissione o mancanza di diligenza era riscontrabile nell'operato dell'Azienda Sanitaria, che aveva adempiuto in modo puntale alle proprie obbligazioni;

- che incombeva all'attrice la prova del nesso di causalità tra l'attività svolta dall’Azienda Sanitaria ed i danni lamentati;

- che si contestava comunque anche il quantum debeatur, posto che le richieste attoree erano eccessive, erronee, e contenevano duplicazioni delle voci di danno;

- che sulla somma richiesta non competevano interessi e rivalutazione.

Tanto premesso chiedeva che fossero accolte le conclusioni di cui in epigrafe. I

n corso di causa veniva espletata consulenza medico legale.

All'udienza deI20.12.20l3 la causa è stata introitata a sentenza sulle conclusioni di cui in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda dell'attrice è fondata e merita accoglimento nei limiti che saranno indicati.

Va premesso che nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare, ma non di provare, la colpa del medico; quest'ultimo, invece, ha l'onere di provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile.

Pertanto, è il danneggiato che agisce per l'affermazione della responsabilità del medico che ha l'onere di provare la sussistenza di un valido nesso causale tra fatto del sanitario e danno; solo fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta (Cass. 18341/13).

Ciò posto, si riporta testualmente la relazione, del c.t.u., Prof. Alessandro Dell'Erba, officiato da questo istruttore, il quale, sulla scorta degli elementi versati in atti ed acquisiti e del resoconto anamnestico fornitoci, ha affermato che

"la sig.ra L., gravida alla 41A settimana, si ricoverò nelle prime ore del mattino del 2.09.2009 presso la Sezione di Ginecologia ed Ostetricia dell'Ospedale "Perrino" di Brindisi per l'espletamento del parto, al termine di una gravidanza del tutto fisiologica.

La sig.ra L. segnala che - subito dopo il ricovero - furono eseguite somministrazioni farmacologiche atte a favorire la induzione del parlo spontaneo.

Le stesse però non sortirono effetto poiché non vi fu dilatazione e quindi il personale sanitario si orientò per la esecuzione di taglio cesareo che ebbe luogo in urgenza (cfr. consulenza anestesiologica) nella serata del 2.09.

La descrizione dello stesso, per quanto desumibile dalla "Scheda di Parto ". fu assolutamente normale e diede luogo alla nascita di feto vitale di sesso maschile in buone condizioni generali.

Fin qui, per quanto evincibile, non riconosciamo censure documentalmente appuntabili nell'operato dei colleghi.

Infatti la sig. ra L. era alla 41^ settimana di gestazione e quindi già oltre il termine; doveroso ed opportuno fu pertanto il tentativo di induzione del parto spontaneo ma lo stesso non sortì effetto alcuno e tanto motivò alla esecuzione del parto cesareo.

Il parto cesareo fu esente da complicazioni immediate, tant'è che la stessa sig.ra L. ci indica che - al mattino successivo - ella procedette all'allattamento.

Sta di fatto che successivamente insorse temperatura febbrile.

Il punto nodale, anche ai fini della ricostruzione fenomenologica e causale, è però quando la febbre sarebbe comparsa.

Secondo il racconto della sig.ra L., già in data 3.09, al mattino, nel corso dell'allattamento, ella ebbe brividi di tipo scuotente con temperatura oltre i 40°C. nulla di tanto è riportato in cartella clinica alla data del 3.09 (non vi è alcuna annotazione) e neanche - per la verità - alla data del 4.09.

Solo in data 5.09 fu svolta consulenza infettivologica per "iperpiressia' senza però che ricorrano indicazioni su quando la stessa sarebbe insorta.

Come si è detto tale discrepanza non è neutra rispetto all'argomentare etiopatogenetico e clinico.

Infatti, il puerperio febbrile (così definendosi la presenza di temperatura di almeno 38°C per più di due giorni anche non consecutivi, nei primi l0 giorni di puerperio, escluse le prime 24 ore) è in genere sostenuto da cocchi se l'infezione è precoce (1° o 2° giorno) ovvero da escherichia coli, bacteroides ed anaerobi se l'infezione insorge 3-4 giorni dopo il parto, ovvero ancora da chlamydia se l'infezione compare dopo una settimana.

Posto che non abbiamo certezza della tipologia del germe responsabile poiché le emocolture - doverosamente richieste - risultarono negative, come è ampiamente possibile in relazione anche alla terapia antibiotica, ne consegue che l'ipotesi deduttiva non può che ancorarsi ai tempo di insorgenza secondo lo schema prima riportato.

Ebbene è da ritenere che la ipotesi più probabile, tenuto conto delle leggi generali di copertura e degli elementi di specifica, è che la infezione fosse sostenuta da cocchi.

In questo senso, a parte il racconto della sig.ra L. e quindi il timing di insorgenza, orientano la tipologia del parto (cesareo) a considerazioni di tipo generale.

E' infatti ovvio che le infezioni da escherichia coli e da bacteroides sono più "agevoli" nel parto naturale per contaminazione attraverso il retto-ano, ove sono saprofiti tipicamente presenti.

Per altro verso è del tutto agevole ipotizzare che in 1^ - 2^ giornata, quand'anche fosse presente temperatura febbrile, essa sia stata rapportata ad una pressoché fisiologica reazione al trauma chirurgico e che quindi solo in persistenza della stessa ci si sia attivati attraverso la consulenza infettivologica.

Può quindi, per via deduttiva e secondo il percorso delineato ritenersi presuntivamente che nella specie la infezione fu dovuta a germi genericamente ricompresi nella categoria dei "cocchi”.

Ebbene si tratta di ampia categoria di germi che sono tra i principali responsabili delle infezioni nosocomiali.

Può cioè ulteriormente dedursi che, nel caso di specie, l'infezione non solo fu correlata al parto cesareo ma che essa fu funzione - verosimilmente - di una contaminazione dì tipo ambientale.

In proposito giova ricordare che gli attori predisponenti le infezioni puerperali sono traumi ostetrici da parto, secondamento normale, tamponamento utero-vaginale, travaglio prolungato, frequenti visite ostetriche, ritenzione di membrane e placenta, coesistenza di processi infettivi a livello delle lacerazioni.

Con riferimento al caso specifico, nessuna di tali condizioni risulta documentata e quindi, per esclusione, deve ritenersi che vi fosse - per l'appunto - contaminazione ambientale.

D'altro canto, proprio in virtù di quanto sopra, ci si sarebbe attesi che nel fascicolo di parte convenuta fossero documentati i percorsi ed i valori specifici inerenti i controlli atti ad evitare la contaminazione ambientale in sala operatoria. in analogia ci si sarebbe aspettati che vi fossero indicazioni in ordine alla eventuale insorgenza di infezioni nelle pazienti immediatamente precedenti e successive alla sig.ra L.

Nulla di tutto quanto rinviene e quindi, come detto, deve ritenersi che la infezione fu conseguente a carenze di controlli e, come tale, funzione di una organizzazione deficitaria.

In conseguenza della avvenuta infezione, si ebbe evidentemente un "allungamento" dei tempi di degenza e guarigione.

In particolare deve segnalarsi che usualmente, in assenza di complicazioni, la dimissione a seguito di parto cesareo avviene in 2-3^ giornata.

Nel caso di specie, complice il necessario trasferimento in malattie infettive, la paziente fu dimessa dopo 14 giorni.

La sig. ra L. inoltre ci ha riferito che, a domicilio, assunse terapia per circa l mese.

Anche in questo caso deve considerarsi che l'immediato puerperio giustifica un periodo di riposo domiciliare di circa 20 giorni.

Alla luce di tali elementi, applicando il necessario calcolo differenziale, si giustificano dal punto di vista medico-legale una incapacità temporanea totale di 11-12 giorni ed una incapacità temporanea parziale di ulteriori 20 giorni, quale effetto proprio della carenza assistenziale della quale si è detto.

Per quanto concerne i postumi permanenti, deve segnalarsi che, come rinviene dalla relazione del Prof Tortorella e del Dr. Palmariggi essi giustificherebbero un pregiudizio del 17%

In particolare tale valore sarebbe giustificato dalla valutazione psicodiagnostica dello psichiatra.

Di tanto, per la verità, non si è avuta conferma alcuna né dal punto di vista clinico, né da quello medico-legale.

Nel corso del colloquio infatti non sono emersi elementi di rilievo psichiatrico, ma esclusivamente una polarizzazione ideativa su tematiche cenestopatiche, che rientrano ampiamente nell'ambito della variabilità individuale.

Essa cioè non è funzione di una patologia psichiatrica nosograficamente inquadrabile e quindi traducibile in termini di pregiudizio medico-legalmente valutabile, questo piuttosto è in relazione a caratteristiche assolutamente personali, non indicanti un quadro morboso ma - al più e se consentito - una caratteristica di personalità.

D'altro canto la paziente non ha riferito, né tantomeno documentato, eventuali controlli psichiatrici e/o assunzione di specifica terapia, escludendosi quindi ulteriormente una attualità di malattia.

Sotto il profilo organico invece il quadro generale è apparso di buon compenso, in osservanza di elementi specifici anamnestico-clinici caratterizzanti in maniera specifica una compromissione organica.

E' pur vero che la paziente ebbe una infezione sistemica a partenza uterina.

In questo senso chiaramente probamente è la TC eseguita il 14.09, tale indagine fu dimostrativa di un " ... utero diffusamente edematoso e pareti ispessite; concomita lieve diastasi dei mm retti addominali anteriori in sede sovra pubica con configurazione di raccolte semifluide a morfologia polilobata irregolarmente a losanga e maggiore estensione cranio-caudale, con micro bolle ed enhancement del cercine periferico, con infìltrazione delle parti molle profonde sottofasciali e sottocute, quadro sospetto per evoluzione similascessuale... ".

Questo quadro ci permette di affermare, pressoché con certezza, che ad esso non può che essere reliquato un quadro di aderenza viscerali nel piccolo bacino che, ovviamente, non si sarebbero realizzate in assenza della infezione: in questo senso elemento coerente è la ricorrenza di più scariche fecali al giorno, ad indicare cioè un alterato tramite del materiale.

In questa prospettiva, considerato congruo il buon indice di massa corporea, si giustifica un danno biologico permanente pari al 3-4%.

Tale pregiudizio non può ritenersi influente sulla capacità lavorativa sia perché la paziente è inoccupata, sia perché anche nella ipotesi di una attualità di lavoro, il minus non influenzerebbe in alcun modo le mansioni di parrucchiera, che devono ritenersi coerenti con la preparazione ed il percorso formativo della sig.ra L.

Analogamente, sempre in relazione alla modestia del pregiudizio, non sono ipotizzabili riflessi sulla vita di relazione.

In sintesi, il c. t. u. ha affermato:

- che la infezione dedotta in citazione ha, per ragionamento di tipo deduttivo, causa in un germe della classe dei cocchi;

- tale infezione, per quanto riferito e documentato, è correlabile a carenze di tipo organizzativo;

- non risultano comportamenti latamente colposi dei sanitari che direttamente prestarono assistenza alla sig.ra L.;

- non sono emersi precedenti morbosi di rilievo interessanti la validità del periziando;

- in conseguenza delle lesioni si è determinato un danno biologico permanente del 3-4%;

- la incapacità temporanea fu pari a giorni 11 -12 di totale e giorni 20 di parziale;

- non vi è incidenza delle menomazioni sulla capacità lavorativa e sulla vita di relazione ".

Alla stregua di quanto riportato, è evidente la responsabilità della struttura ospedaliera.  

Quanto alI'entità dei postumi, pur tenuto conto delle critiche alla relazione di consulenza diffusamente esposte dalla difesa dell'attrice nella comparsa conclusionale, non esistono ragioni per discostarsi dalle valutazioni del consulente, il quale ha correttamente valutato il quadro di aderenze viscerali rilevato nella paziente.

Vanno, infatti, escluse, per le condivisibili considerazioni espresse dal c.t.u., ripercussioni di tipo psichico o psicologico di tipo permanente, essendo evidente che la lamentata separazione dal proprio figlioletto nei primi giorni di vita o il timore, fortunatamente rimasto tale, che questi potesse aver contratto infezioni, ossia un quadro psicologico riferito ad un ristretto arco temporale, cui non ha fatto seguito alcuna complicazione o patologia per il neonato, non rileva ai fini del riconoscimento di postumi di tipo permanente.

Si aggiunga che il c.t.u., pur tenendo conto delle valutazioni espresse dal consulente di parte dell'attrice, ha escluso postumi di tipo psichiatrico, rilevando che si era in presenza di una polarizzazione ideativa su tematiche cenestopatiche, non indicanti un quadro morboso ma - al più e se consentito - una caratteristica di personalità.

D'altro canto la paziente non ha riferito, né tantomeno documentato, eventuali controlli psichiatrici e/o assunzione di specifica terapia, escludendosi quindi ulteriormente una attualità di malattia.

Le considerazioni del c.t.u. logicamente motivate, vanno del tutto condivise, dato che né la serenità né la sicurezza costituiscono, in se stesse considerate, diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti la persona, la cui lesione consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale (Cass. 3284/08).

Il quadro morboso riferito dal C.t.u. può solo portare, tenuto conto della giovane età dell'attrice al momento del ricovero, a quantificare i postumi nella misura massima indicata dal c.t.u., ossia nella misura del 4%.

Vanno, anche condivise le conclusioni del c.t.u. in ordine al periodo di invalidità totale (da quantificarsi, per la ragione sopra esposta, nella misura massima di giorni 12 indicata dal c.t.u.), correttamente determinato in base al criterio del calcolo differenziale, posto che la L. fu dimessa dal presidio ospedaliero dopo 14 giorni dal parto e il taglio cesareo avrebbe comunque comportato un periodo di ricovero di 2-3 giorni.

Non può dunque affermarsi che il c.t.u. avrebbe operato un'inaccettabile sovrapposizione tra un parto cesareo privo di complicazioni e quello in esame, segnato dalla presenza di un germe della classe dei cocchi.

Anche il periodo di invalidità parziale determinato dal c.t.u, resiste alle critiche dell'attrice, posto che, se il C.t.u. ha affermato che normalmente un puerperio giustifica un riposo domiciliare di circa 20 giorni, nel caso di specie, dato che detto periodo si somma a quello della invalidità totale, la valutazione dell'arco globale di invalidità compiuta dal c.t.u. appare corretta.

Venendo alla liquidazione del danno, è noto che di recente la Cassazione a Sez. unite (sentenza n. 2697212008) ha tra l'altro affermato che, nell'ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore­ uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

Ciò posto, il preteso danno esistenziale da lesioni di interessi costituzionalmente rilevanti, peraltro non indicati, non sussiste, sia per le ragioni sopra indicate in ordine alla irrisarcibilità in sé della serenità, sia perché non è stata fornita prova di ulteriori specifici pregiudizi subiti dall'attrice.

La polarizzazione ideativa su tematiche cenestopatiche, non indica un quadro morboso ma solo una caratteristica di personalità.

Alla stregua di quanto osservato consegue che la prova testimoniale richiesta dall'attrice non va ammessa, dato che essa verte su circostanze già oggetto di valutazione da parte del c.t.u., o ininfluenti.

Va aggiunto che la causa della rottura della relazione intrattenuta dall' attrice con il padre del bambino non può essere comprovata a mezzo di deposizioni testimoniali.

Venendo alla liquidazione del danno biologico, è noto che la S.c. ha affermato che, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari.

Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c. - salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (Cass. 07/06/2011, n. 12408, n. 17879/11).

E' anche noto che le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano a partire dal 2009, propongono la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale (Cass. n. 18641/11).

Ciò posto, l'attrice ha certamente subito il danno biologico e cioè quello derivante da illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, necessariamente esiste in presenza delle indicate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito.

Inoltre, la sindrome dolora accusata dall'attrice comprova anche le sofferenze di tipo morale o soggettivo patite dalla L.

In base a dette tabelle, all'attrice competono, tenuto conto dell'entità dei postumi e dell'età dell'attrice al momento della contrazione della infezione, le seguenti somme:

Risarcimento danno macropermanenti: € 6.105,00

Risarcimento per 12 giorni di invalidità assoluta: € 1.100,52

Risarcimento per 20 giorni di invalidità parziale al 50%: € 960,00,

Totale euro 8.217,00.

Gli importi relativi, essendo all' attualità, vanno maggiorati dei soli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.

Non sussistono, infatti, particolari ragioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinariamente conseguenti al tipo di lesioni e di postumi e che consentano, quindi, di aumentare gli importi tabellari.

Le spese e i compensi di causa, liquidati come in dispositivo, ivi comprese quelle della c.t.u, stante la drastica riduzione della somma accordata rispetto a quella richiesta, vanno poste a carico dell' ASL nella misura del 50%, rimanendo la residua metà compensata tra le parti.

P.Q.M.

Il Giudice Unico del Tribunale di Brindisi, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da L.L. contro l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, la accoglie per quanto di ragione e per l'effetto così provvede:

- condanna 1'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi al pagamento in favore della L. della somma complessiva di euro 8.217,00, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo;

- condanna l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi al pagamento in favore della L. della metà delle spese, e compensi del giudizio liquidata detta metà in euro 3.080,00, di cui 580,00 per spese, euro 2.500,00 per compensi, oltre IV A, CAP e rimborso spese forfetario nella misura del 15%, oltre che della metà delle spese della C.t.u. liquidata come da decreto in atti, con distrazione in favore dell'avv. Sabrina T. Conte;

- dichiara la residua metà delle spese e competenze di lite compensata tra le parti.

Così deciso in Brindisi, il 14.4.2014.