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La responsabilità della struttura sanitaria in un caso di intervento chirurgico errato non annotato nella cartella clinica.

Della mancata annotazione nella cartella clinica di un intervento chirurgico non può giovarsi la struttura ospedaliera per andare esente da responsabilità.

Tribunale di Brindisi – Sezione unica civile, dott. Pietro Lisi – Sentenza n. 449 del 7 marzo 2014.

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REPUBBLICA ITALIANA

In Nome Del Popolo Italiano

IL TRIBUNALE DI BRINDISI

Sezione Unica Civile

in composizione monocratica nella persona del Giudice Unico dott. Pietro Lisi ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta sotto il numero d'ordine 1449 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2006, promossa da:

D.D., ,                                                                          - attrice-

CONTRO

A.U.S.L. BR/l, in persona del legale rappresentante p.t.,

- convenuta -

E

Fondiaria-SAI s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t,                                                                                          terza chiamata in causa -

NONCHE'

Assitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. -

ED ANCORA

Milano Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.                                                                           terza chiamata in causa -

ED ANCHE

Zurich Insurance Company S.A., Rappresentanza Generale per l'Italia, in persona del legale rappresentante p.t.,      terza chiamata in causa -

ED ANCORA

Lavoro & Sicurtà s.p.a., contumace                                                                                       terza chiamata in causa -

Le conclusioni sono state precisate all'udienza del 15.10.2013, il cui verbale deve intendersi qui integralmente riportato e trascritto.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato D.D. conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la Ausl Br/l, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti da essa attrice, in occasione dell'intervento chirurgico del 6.6.96, quantificati in complessivi euro 250.000,00, oltre interessi e danni da degrado monetario a far data del 6.6.96, ovvero della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia.

Instaurato il contraddittorio, si costituiva la Ausl Br/l, chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice e chiedendo ed ottenendo di chiamare in garanzia, in virtù della polizza RC n. 149140 stipulata con le compagnie assicurative di cui in epigrafe, nei cui confronti proponeva domanda di manleva.

Si costituivano, altresì, le compagnie assicurative chiamate in causa - ad eccezione della Lavoro & Sicurtà s.p.a. che rimaneva contumace - le quali chiedevano il rigetto della domanda attorea, ed in subordine, in caso di accoglimento della stessa, dichiarare e riconoscere la sussistenza del limite del massimale di polizza di euro 103.291,38, entro cui le stesse possono essere chiamate a manlevare la convenuta ex art. 1917 c.c., nonché in proporzione della quota prevista in contratto per ciascuna di esse, ex art. 1911 c.c., trattandosi di coassicurazione (e segnatamente il 52% a carico di Assitalia s.p.a., il 28% a carico di Zurich Insurance Company S.A., il 5% a carico di Milano Assicurazioni s.p.a., il 5% a carico di Lavoro & Sicurtà s.p.a. ed il 10% a carico di Fondiaria-SAI s.p.a.).

La domanda attorea è fondata e merita accoglimento, nei limiti e per i motivi che seguono:

L'attrice deduce la responsabilità della convenuta con riferimento ad un intervento chirurgico di "tiroidectomia totale e drenaggio della loggia tiroidea", eseguito il 6.6.96 presso l'Ospedale "Di Summa" in Brindisi, a seguito di diagnosi di "adenoma tiroideo" e con successive dimissioni il 15.6.96 con la diagnosi di "Tiroidectomia sub-totale per struma macro microfollicolare iperfunzionante, ipoparatiroidismo post-tiroidectomia" e prescrizione di terapia medica e controlli ambulatoriali.

Deduce l'attrice, in sostanza, che il personale medico dell' Ospedale suddetto, per negligenza ed imprudenza, avrebbero asportato, nel corso del predetto intervento chirurgico, anche le paratiroidi, con tutte le conseguenze pregiudizievoli da ciò derivanti.

A questo punto giova premettere alcune considerazioni di carattere generale in materia di responsabilità civile della struttura sanitaria.

In primo luogo deve essere ribadito il principio consolidato a mente del quale il rapporto che si instaura tra il paziente e l'ente sanitario ha natura contrattuale.

In particolare, con l'accettazione del paziente nella struttura deputata a prestare assistenza sanitaria ed ospedaliera, ai fini del ricovero o di prestazioni ambulatoriali, sorge un contratto di prestazione d'opera atipico (c.d. contratto di spedalità) che ha ad oggetto, oltre alla prestazione sanitaria stricto sensu intesa, anche la messa a disposizione di personale ausiliario, mezzi tecnici e farmaci e, se del caso, ulteriori prestazioni di carattere alberghiero.

L'ente, in sostanza, si impegna nei confronti del paziente a fornire adeguate prestazioni assistenziali attraverso la predisposizione di strutture e risorse umane efficienti.

Ne deriva, allora, che la responsabilità dell'ente ospedaliero nei confronti del paziente ha natura contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. e può derivare sia dall'inadempimento delle obbligazioni poste direttamente a suo carico che, ex art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario in qualità di suo ausiliario necessario (cfr., tra le tante pronunce della Suprema Corte, Cass., sez. III, n. 8826/2007).

La natura contrattuale della responsabilità de qua impone l'applicazione degli ormai noti principi affermati dalle Sezioni Unite sul regime della prova dell'inadempimento (cfr. Cass., S.U., n. 13533/2001) secondo i quali il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. ex multis Cass. n. 10297/2004).

Specificamente la Suprema Corte (Cass S.U. 577/08) ha statuito che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili le regole sulla responsabilità contrattuale ivi comprese quelle sul riparto dell'onere della prova, l'attore ha il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto, e di allegare l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso pur essendo sussistente non è stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore (essendo sopravvenuto, nella serie causale che dall'intervento ha condotto all'evento di danno, un fatto inevitabile o imprevedibile).

Ed ancora "nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, la prova dell'assenza di colpa medica grava sempre sul professionista-debitore; quando l'intervento fallito è un' operazione di routine per il sanitario, il paziente è tenuto soltanto a provare il rapporto intercorso con il professionista e si può limitare ad allegare le conseguenze negative". (Cassazione civile, sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3520).

Quanto all'accertamento della colpa del sanitario, è d'uopo premettere che la responsabilità colposa postula una condotta che, sebbene non diretta alla produzione dell'evento lesivo, realizza detto evento per effetto della negligente condotta dell'agente.

Alla base della responsabilità colposa vi è allora la violazione di una o più regole cautelari di condotta, violazione che determina un evento lesivo costituente realizzazione specifica del rischio che la nonna precauzionale mirava a scongiurare.

Più in particolare, alla base delle norme precauzionali di condotta - siano esse di diligenza, di prudenza o di perizia, abbiano esse un contenuto generico o specifico - vi sono regole di esperienza ricavate da giudizi ripetuti nel tempo sulla pericolosità dei comportamenti umani, e sui mezzi più adatti ad evitarne le conseguenze.

Mezzi che devono essere non già quelli soggettivamente a disposizione dell'agente, bensì quelli oggettivamente imposti - in base alla migliore scienza ed esperienza - a carico di soggetti espletanti un determinato tipo di attività.

Sotto questo profilo, si suole pertanto comunemente affermare che le regole di diligenza proprie dei vari contesti di riferimento rappresentano la "cristallizzazione" dei giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo, non essendo altro la prevedibilità che la possibilità dell'uomo coscienzioso ed avveduto, dell'homo eiusdem professionis et condicionis, di cogliere che un certo evento è legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento è evitabile adottando determinate regole di prudenza.

In definitiva, ciò che l'ordinamento rimprovera all'agente è di non aver osservato lo standard di diligenza richiesto dalla situazione concreta, di non avere cioè attivato quei poteri di controllo e di impulso che doveva e poteva attivare, in quel contesto spazio-temporale, al fine di scongiurare l'evento lesivo.

In altre parole, ciò che si rimprovera all'agente è di non avere attivato quelle regole che, sulla base della miglior scienza ed esperienza, gli imponevano - o gli vietavano - un certo tipo di attività.

Al riguardo, in base al combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c. la diligenza richiesta è non già quella ordinaria, del buon padre di famiglia (cfr. Cass., 13/1/2005, n. 583) bensì quella ordinaria del buon professionista (v. Cass., 31/5/2006, n. 12995), e cioè la diligenza normalmente adeguata in ragione del tipo di attività e alle relative modalità di esecuzione.

Nell'adempimento dell'obbligazione professionale va infatti osservata la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, (che costituisce aspetto del concetto unitario posto dall'art. 1174 c.c.: cfr. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 22/12/1999, n. 589), quale modello di condotta che si estrinseca (sia esso professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi (v. Cass., 31/5/2006, n. 12995).

Al riguardo si è ulteriormente precisato che il criterio della normalità va valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata (cfr. Cass., n. 15255/2005).

Inoltre la limitazione di responsabilità professionale del medico ai casi di dolo o colpa grave ex art. 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentano problemi tecnici di particolare difficoltà, in ogni caso attenendo ciò esclusivamente all'imperizia e non anche all'imprudenza e alla negligenza (v. Cass., 19/4/2006, n. 9085; Cass., 14448/2004).

Quanto all'onere probatorio, la Suprema Corte ha osservato che "spetta al medico­ debitore la prova della mancanza di colpa ("sub specie" della sopravvenienza, nella serie causale che dall'intervento ha condotto all'evento di danno, di un fatto inevitabile o imprevedibile), mentre il paziente è tenuto soltanto a provare il rapporto (nella specie, contrattuale) con il professionista e la riferibilità a quest'ultimo dell'intervento, allegando il risultato peggiorativo conseguito". (Cassazione civile, sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3520).

Ed ancora "nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, la prova dell'assenza di colpa medica grava sempre sul professionista-debitore; quando l'intervento fallito è un' operazione di routine per il sanitario, il paziente è tenuto soltanto a provare il rapporto intercorso con il professionista e si può limitare ad allegare le conseguenze negative". (Cassazione civile, sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3520).

Tanto premesso, si osserva che dall'esame degli atti di causa, ed in particolare alla luce delle risultanze della CTU (il cui contenuto deve intendersi integralmente riportato e trascritto in questa sede, in quanto assolutamente rigorosa sul piano logico-scientifico, priva di lacune o contraddizioni e dunque pienamente condivisibile) può ragionevolmente affermarsi, con apprezzabile probabilità, che il personale medico dell'Ospedale "Di Summa" di Brindisi, in occasione del ridetto intervento chirurgico subito dalla D., abbia asportato anche le paratiroidi.

Trattasi di condotta evidentemente colposa da parte dei sanitari, i quali avrebbero dovuto preservare le paratiroidi, al fine di non far insorgere nella paziente le problematiche inerenti all'ipoparatiroidismo da difetto totale di paratormone, trattandosi peraltro - come giustamente rilevato dal CTU - di intervento che non presentava problemi tecnici di speciale difficoltà.

Vi sono plurimi elementi che depongono nel senso della verosimile asportazione, in sede di intervento chirurgico, delle paratiroidi, quali in primo luogo la comparsa di crisi tetaniche e di riduzione del tono della voce già il giorno successivo all'intervento medesimo.

A ciò aggiungasi che le indagini strumentali ecografiche eseguite successivamente (vedi in particolare esame ecografico del 27.10.09 eseguito dalla dott.ssa Brogioni) dimostravano l'assenza di tessuto ghiandolare, e ciò in evidente contraddizione con la diagnosi di dimissione di una tiroidectomia sub-totale con risparmio di un residuo ghiandolare.

Ad ulteriore conforto di tale conclusione vanno considerati i risultati degli esami ematochimici del 19.11.09, nonché l'insorgere della cataratta posteriore ad entrambi gli occhi, che notoriamente si manifesta dopo l'asportazione chirurgica delle paratiroidi e si localizza selettivamente negli strati posteriori del cristallino.

Pertanto può ritenersi sufficientemente provata sia la condotta colposa dei sanitari e sia il nesso di casualità con l' ipoparatiroidismo da difetto totale di paratormone da cui è affetta l'odierna attrice.

Il CTU osserva che non può aversi la prova certa dell' asportazione chirugica delle paratiroidi, in quanto i sanitari non provvedevano a descrivere nella cartella clinica l'intervento eseguito.

Tuttavia trattasi di lacuna certamente addebitabile al personale sanitario che ebbe in cura la D., e di cui non può certo giovarsi la convenuta per andare esente da responsabilità.

Ciò in quanto, per le ragioni sopra esposte, in casi come quello di specie incombe sulla struttura sanitaria l'onere di dimostrare l'assenza di colpa, anche alla luce del principio di vicinanza della prova, più volte ribadito dalla Suprema Corte (vedi in particolare Cass., n. 13533/2001), in forza del quale l'onere della prova va ripartito tenendo conto in concreto della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione.

In tale importante arresto la Suprema Corte parte da tale principio di vicinanza o riferibilità della prova, per affermare, tra l'altro, che nei rapporti obbligatori l'onere della prova grava sul debitore non soltanto nel caso di inadempimento, ma anche nel caso di inesatto adempimento, dovendo egli dare prova di avere esattamente adempiuto l'obbligazione posta a suo carico.

Con particolare riferimento a casi di colpa medica la Suprema Corte ha osservato che "In applicazione del principio di vicinanza della prova l'ente ospedaliero, che risponde contrattualmente dei fatti illeciti e dolosi dei propri dipendenti, ai sensi dell'art. 1228 c.c., è tenuto a fornire la prova dell'assenza di colpa nell'operato del medico, intesa questa non come "prova negativa", bensì come dimostrazione del fatto che la prestazione è stata eseguita in maniera diligente in conformità delle regole dell'arte" (Cass., sez. un. n. 10297/2004).

Passando al profilo del quantum debeatur, si può certamente condividere la valutazione espressa dal CTU, stimando l'invalidità permanente in misura del 17%.

Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale in favore dell' attrice, si reputa corretto applicare le Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale per 1'anno 2013 in uso presso il Tribunale di Milano, in quanto pienamente condivisibili nei principi ispiratori e nella metodologia utilizzata.

Inoltre la Suprema Corte in una recente pronuncia ha osservato che "i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è già riconosciuta nei fatti una sorta di vocazione nazionale, costituiscono d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi "equo", e cioè in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità" (Cass., sez. III, n. 1240812011).

Pertanto, spettano all' attrice le seguenti somme determinate sulla base delle ridette tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, che si condividono pienamente anche con riferimento alle note illustrative che le precedono ed alle quali si fa espresso rinvio:

euro 53.027,80 a titolo di invalidità permanente pari al 17% riferita ad un individuo di 38 anni (all'epoca del fatto).

Tale importo è liquidato al valore attuale, atteso che le tabelle di liquidazione danni cui si è fatto complessivamente riferimento (Tribunale Milano) sono aggiornate al 2013 e sono dunque dovuti i soli interessi, da calcolarsi devalutando tale somma al dì dell'evento (6.6.96) ed applicandoli sulla somma rivalutata anno per anno.

Non si ritiene di dover applicare alcuna maggiorazione, in quanto per un verso, contrariamente a quanto sostenuto dall' attrice, il valore del punto di invalidità è comprensivo del danno biologico permanente relativo all'integrità psicofisica già aumentato di una percentuale ponderata della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva" (c.d. danno morale), come chiaramente esplicitato nelle ridette note illustrative delle tabelle.

Né per altro verso 1'attrice ha dimostrato, neppure in via presuntiva, la sussistenza di quelle peculiarità attinenti agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali ed agli aspetti di sofferenza soggettiva, in presenza delle quali può essere accordato l'aumento a titolo di "personalizzazione" consentito dalle tabelle citate.

Dal dì della pubblicazione della presente decisione e fino al soddisfo, spettano all'attore gli interessi legali su tale somma, operando la conversione da debito di valore in debito di valuta.

Passando ad esaminare la domanda di manleva proposta dalla convenuta nei confronti delle compagnie di assicurazione, si osserva in primo luogo che non risulta superato il massimale di polizza (pari ad euro 103.291,38) e pertanto non occorre operare alcuna limitazione sotto questo profilo.

Poiché, poi, ai sensi dell' art. 1911 c.c., ciascuna compagnia coassicuratrice risponde soltanto in proporzione alla propria quota, la manleva, relativa a tutte le somme che la convenuta dovrà corrispondere all'attrice in esecuzione della presente sentenza, andrà così ripartita: Assitalia s.p.a. 52%, Zurich Insurance Company S.A. 28%, Fondiaria-SAI s.p.a. 10%, Milano Assicurazioni s.p.a. 5%, Lavoro & Sicurtà s.p.a. 5%.

La convenuta va condannata alla rifusione delle spese di lite in favore dell' attrice in ragione della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo e con il richiesto beneficio della distrazione ex art. 93 c.p.c.

Le spese di lite tra convenuta e terze chiamate in garanzia possono essere integralmente compensate, non avendo le stesse contestato l' operatività della polizza, ma avendo opposto esclusivamente l'esistenza del massimale di polizza e delle quote di riparto interno ex art. 1911 c.c.

Spese di CTU a definitivo ed integrale carico della convenuta.

P. Q. M.

Il Tribunale di Brindisi, in persona del Giudice Unico dott. Pietro Lisi, definitivamente pronunciando nella causa n. 1449/2006 R.G., ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:

- condanna la Ausl Br/I al pagamento, in favore di D.D., per le causali di cui in premessa, della complessiva somma di euro 53.027,80, oltre interessi legali con le modalità e la decorrenza di cui in motivazione;

condanna Assitalia s.p.a., Zurich Insurance Company S.A., Fondiaria-SAI s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a. e Lavoro & Sicurtà s.p.a. a manlevare e tenere indenne la convenuta da tutto quanto dovrà pagare all'attrice in esecuzione della presente sentenza secondo le seguenti quote: Assitalia s.p.a. 52%, Zurich !nsurance Company SA 28%, Fondiaria-SAI s.p.a. 10%, Milano Assicurazioni s.p.a. 5%, Lavoro & Sicurtà s.p.a. 5%, e comunque entro il limite complessivo di euro 103.291,38, quale massimale di polizza;

- condanna la convenuta alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'attrice, con distrazione al difensore antistatario ex art. 93 c.p.c., spese liquidate in complessivi euro 4.600,00, oltre iva e cap come per legge;

- spese di lite integralmente compensate tra la convenuta e le terze chiamate in causa; 

- spese di CTU a definitivo ed integrale carico di parte convenuta.

Brindisi, 22.1.2014.