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Il datore di lavoro è tenuto a risarcire i danni patiti dal lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni, salvo il comportamento "abnorme", laddove cioè il lavoratore violi "con consapevolezza" le cautele impostegli.

La responsabilità del lavoratore si può escludere solo nell'ipotesi tipica di comportamento "abnorme" nel caso in cui lo stesso violi "con consapevolezza" le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione che si poteva prevedere e certamente non può evitare.

Tribunale di Lecce – Prima sezione civile - Dott. Federica Sterzi Barolo – Sentenza n. 3967 del 21 luglio 2015

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Lecce

Prima Sezione Civile

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Federica Sterzi Barolo ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nelle cause civili di I Grado riunite sub n. 5276/2007 R.G. promossa da:

P.L. e P.E., in proprio e nella qualità di eredi di P.M., col procuratore avv.to S.N.                                    ATTORI

contro:

D.M., R.M. e L. S.r.l. + 6                                                                                                          CONVENUTI

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza deIr8.7.2014 e del 21.7.2015, che qui si intendono richiamate.

Con atto di citazione ritualmente notificato P.L. + 2, rispettivamente padre e fratelli del defunto P.E., hanno convenuto in giudizio la L. S.r.l., D.M. (direttore di cantiere, dipendente di L. S.r.l.) e R.M. (capo cantiere, dipendente di L.S.r.l.) al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali agli stessi derivati a causa del prematuro decesso del congiunto.

A fondamento della domanda deducevano che in data 30.11.1998 P.E., dipendente della L. S.r.l. con le mansioni di autista e manovratore di autobetoniera con pompa, nel corso dei lavori di costruzione e completamento di un ponte stradale situato al di sotto della linea ENEL, terminato un getto di calcestruzzo, mentre effettuava la manovra di ripiegamento, andava ad urtare con il braccio dell'autopompa contro i cavi di MT della linea ENEL sprigionando una scarica elettrica che ne causava il decesso.

Sul luogo dell'incidente non vi era alcun superiore del P., né tantomeno un responsabile della sicurezza incaricato dal datore di lavoro.

Non risulta inoltre che l'ATI, cui ANAS aveva dato in appalto i lavori di costruzione della variante esterna alla città di Lecce, avesse predisposto un apposito piano di sicurezza che statuisse le prescrizioni necessarie con riferimento ad operazioni come quelle svolte dal P., così come previsto dall'art. Il del D.P.R. n. 164/56.

Instaurato il contraddittorio si costituivano D.M. + 2 i quali contestavano il fondamento della domanda attorea, in particolare deducendo che la responsabilità dell'accaduto era da imputarsi all'esclusiva condotta imprudente del P. il quale, contravvenendo alle disposizioni del capocantiere e alle indicazioni contenute nel progetto del direttore tecnico, effettuava una manovra azzardata ed errata.

Chiedevano pertanto il rigetto della domanda attorea e la L., in via riconvenzionale, chiedeva la condanna degli attori al risarcimento del danno alla stessa derivato dalla sottoposizione a sequestro penale dell'autobetopompa dal 30.11.1998 al 5.2.l999, danno determinato in complessivi euro 29.940,33.

I convenuti chiedevano infine la chiamata in causa di M.N., direttore dei lavori nonché dell' ANAS, ente appaltante e responsabile civile, essendo la causa agli stessi comune.

Autorizzata la chiamata in causa si costituiva M.N. che eccepiva in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso il rapporto di immedesimazione organica che lo lega ad ANAS S.p.a.

Nel merito contestava il fondamento della domanda attorea deducendo che il P. aveva disatteso gli ordini precisi del R. che gli aveva detto di non iniziare le operazioni di gettata prima dell'arrivo dello stesso.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda

Si costituiva altresì ANAS S.p.a. la quale contestava il fondamento della chiamata in causa ed eccepiva la propria estraneità all'accaduto, invocando in particolare l'art. 17 del Capitolato Speciale d'Appalto il quale prevedeva l'obbligo dell'appaltatore di adottare tutte le cautele necessarie a garantire l'incolumità dei lavoratori.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda ed in ogni caso chiedeva la chiamata in causa delle altre società costituenti l'ATI appaltatrice, alle quali il giudizio è comune.

Autorizzata la chiamata in causa si costituiva la C. S.p.a. la quale deduceva che nessuna responsabilità può essere ascritta alla stessa essendo prescritto ogni diritto di rivalsa dell' ANAS nei suoi confronti.

Nel merito faceva proprie tutte le difese di L. S.r.l.. e chiedeva pertanto il rigetto della domanda.

Si costituiva altresì P. S.r.l. la quale deduceva che con sentenza n. 567/04 del 17.7.04 il Tribunale penale di Lecce aveva assolto F.G., già amministratore della società chiamata, nel giudizio per omicidio colposo di P.E., per non aver commesso il fatto.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda.

La causa veniva istruita con l'escussione dei testi ammessi.

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 29.6.2012, P.E. e P.L., in proprio e nella qualità di eredi legittimi di P.M., convenivano in giudizio B.A. (amministratore unico di C. S.p.a.), M.N., N.A. (amministratore unico di L. S.r.l.), C, S.p.a., L. S.r.l. e Anas S.p.a. per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito dai medesimi, nonché dal padre M., per la morte di P.E. per i fatti sopra indicati.

A sostegno della domanda avanzata deducevano che con sentenza n. 567/04 del 17.7.-7.12.2004 il Tribunale di Lecce Il Sezione penale ha ritenuto B.A., M.N. e N.A. colpevoli di omicidio colposo nei confronti di P.E. e li ha condannati insieme agli altri convenuti, responsabili civili, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili P.M.,P.L. e P.E., da liquidarsi in separato giudizio.

Con separate memorie si costituivano B.A. e N.A. che contestavano il fondamento della domanda chiedendone il rigetto.

In subordine chiedevano accertarsi che l'infortunio si era verificato per responsabilità concorrente di P.E. da determinarsi in percentuale non inferiore al 50%,

Si costituivano altresì gli altri convenuti riproponendo le difese già svolte nel giudizio precedentemente incardinato, così come sopra riportate.

Con ordinanza in data 21.5.2013 il Tribunale ritenuta l'incompatibilità del rito sommano, fissava udienza ex art. 183 c.p.c.

All'odierna udienza il giudice disponeva la riunione del giudizio rubricato sub n. 3473/2012 RG a quello rubricato sub n. 5276/07 RG e invitava le parti alla discussione.

La domanda attorea è fondata nella misura e per le ragioni di seguito indicate.

Com' è noto, ai sensi dell'art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile.

Orbene, dalla lettura della sentenze prodotte agli atti emerge che il giorno 30.11.1998, durante i lavori di costruzione della C.d. "tangenziale ovest di Lecce", nel cantiere ubicato a ridosso della strada provinciale Lecce - Novoli si verificava un grave infortunio ai danni di P.E., dipendente della L., facente parte dell' A.T.I., costituita tra le ditte P. , L. e C. - mandataria - e S.S.P., appaltatrice dei lavori.

In particolare si accertava che il P., autista e manovratore di un autobetonpompa, dopo aver effettuato le operazioni di getto di calcestruzzo, nel ritirare il braccio articolato, urtava con detto braccio contro i fili della linea elettrica di media tensione, tranciandoli e ricevendone una scarica pari a 20.000 volt per effetto della quale decedeva.

Il procedimento penale per omicidio colposo vedeva condannati, con sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione del 5 giugno 2009, depositata in data 30 giugno 2009:

B.A., amministratore unico della società capo - gruppo dell' ATI, nonché mandataria, per aver omesso di valutare specificamente nel piano di sicurezza il rischio connesso alle operazioni di gettata con autobetonpompa in prossima della linea elettrica ed aver trascurato di prevedere le procedure finalizzate all' interruzione della stessa;

N.N., amministratore unico della ditta L. per aver omesso di valutare il rischio predetto ed avere consentito agli operai di effettuare operazioni di gettata del calcestruzzo con uso di autobetonpompa a distanza inferiore ai cinque metri dalla suddetta linea elettrica;

M.N., direttore della stazione appaltante e committente dei lavori A.N.A.S. per omessa vigilanza sull'osservanza del piano di sicurezza nel quale, sia pure in modo lacunoso, era previsto il rischio di elettro - conduzione.

In conseguenza dell'accertata responsabilità i predetti venivano condannati ciascuno alla pena di otto mesi di reclusione ed in solido con i responsabili civili, C., A. e L., al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

In particolare veniva accertata la violazione del disposto di cui all'art. Il del d.p.r. 164/1956 secondo cui "non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee aeree a distanza minore di cinque metri dalla costruzione dei ponteggi, a meno che, previa segnalazione all'esercente le linee elettriche, non si preveda da chi dirige i lavori per un' adeguata protezione negli avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse".

Il Tribunale di Lecce accertava invero che il rischio di un contatto accidentale con la linea elettrica di m.d. di Enel fosse oltremodo concreto, poiché il P. avrebbe dovuto manovrare il braccio mobile della betonpompa - lungo 16 metri e provvisto, nella parte terminale, di un ulteriore tubo di gomma, non manovrabile dalla pulsantiera, della lunghezza di mt 4 - sulle fiancate laterali di un ponte, distante dalla linea elettrica appena sei metri.

Tenuto conto di quanto innanzi era ben possibile il mancato rispetto della distanza di cui alla citata norma e molto elevato il rischio di un contatto accidentale tra la parte terminale del braccio e la linea elettrica, come di fatto è poi accaduto.

Quanto all'individuazione dei soggetti tenuti all'osservanza di tale disposizione citata, il Tribunale rilevava che il d.p.r. 164/1956 rimanda agli artt. 4 e 5 del d.p.r. 547/1955 i quali annoverano tra essi i datori di lavoro, i dirigenti e preposti.

Richiamava inoltre il d.l.vo 626/1994, che pone in capo al datore di lavoro l'obbligo della redazione di un piano "di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro con indicazione delle misure di prevenzione e protezione", nonché quello di adottare "le misure necessarie per la sicurezza", in particolare quelle "appropriate affinchè soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico".

Analoghi obblighi sono stati previsti in capo al committente il quale è tenuto a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'appaltatore, informarlo dei rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui deve operare e soprattutto cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione, coordinandone i relativi interventi ed informandosi anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell' esecuzione dell' opera.

Venendo ad esaminare le singole posizioni di garanzia, B.A. è stato ritenuto responsabile in quanto amministratore unico della società mandataria dell' Associazione temporanea di imprese, affidataria dei lavori e "destinataria dei compiti prevenzionali di cui all'art. 18 co. 8° della legge 55/1990.

Si accertava, all'esito del giudizio penale, che questi aveva predisposto un piano per la sicurezza del tutto inadeguato a scongiurare pericoli per la sicurezza, senza alcuna indicazione circa la natura, le caratteristiche, le cause, l'ubicazione di tale rischio ed ancora di misure atte a neutralizzarlo.

Quanto al comportamento tenuto dal P., il Tribunale escludeva che si potesse imputare alla condotta colposa del lavoratore la responsabilità di quanto accadutogli, giacchè le risultanze processuali avevano evidenziato in maniera chiara come lo stesso non fosse stato in alcun modo reso edotto dei rischi specifici connessi alle operazioni di gettata in prossimità di una linea elettrica di media tensione; avevano altresì attestato l'assenza di cartelli antiinfortunistici, che richiamassero l'attenzione sulla necessità di rispettare rigorosamente la distanza di cinque metri dalla linea elettrica; l'assenza di un'adeguata protezione concordata con il gestore della linea.

Il Tribunale di prime cure - nella parte motiva della sentenza ritenuta dalla Cassazione immune da alcun vizio logico anche nella ricostruzione dei fatti - evidenziava che le dichiarazioni rese dal geom. R., nel corso della fase istruttoria, offrivano ulteriori argomenti per escludere qualsivoglia responsabilità del lavoratore deceduto.

Il capo cantiere aveva in effetti dichiarato di aver incontrato occasionalmente il P. cui aveva intimato di non dare inizio al alcuna operazione prima del suo arrivo, senza tuttavia rappresentargli la ragione per cui vi era la necessità di attenderlo. In altri termini non aveva in alcuno modo chiarito al lavoratore che la sua attesa era in correlazione con il rischio di contatti accidentali con la linea elettrica di media tensione sovrastante il ponte in costruzione, così dando prova dell'assenza di formazione ed informazioni sui rischi gravi e specifici connessi all'esecuzione delle sue mansioni.

Concludendo il Tribunale affermava che il piano di sicurezza era risultato palesemente inadeguato, dal momento che non conteneva indicazioni su come ovviare a che tale rischio si trasformi in pericolo concreto per i lavoratori addetti, neppure resi edotti della sua esistenza.

Quanto alla condotta tenuta da N., legale rappresentante della L. - di cui il P. era dipendente - questi era ritenuto responsabile nella sua veste di datore di lavoro per aver omesso di valutare nella redazione del documento per la sicurezza.

In particolare il Tribunale osservava che l'indicazione, riportata nel documento per la sicurezza, di tenersi ad una distanza sempre maggiore di cinque metri dalle linee elettriche aeree, quanto lo studio effettuato da D., direttore di cantiere, tesi ad individuare le zone di rischio, non risultavano essere stati comunicati al lavoratore P.

Si giungeva così ad accertare che i documenti per la sicurezza, redatti in maniera generica e solo per soddisfare formalmente quanto richiesto dalla legge, erano stati abbandonati nella baracca sita nel cantiere principale, senza che nessuno, neppure gli stessi preposti ( quali il D. ed il R. ) si fossero preoccupati di porli a disposizione dei lavoratori, rendendoli edotti del loro contenuto: di contro emergeva che il problema della sicurezza dei lavoratori era stato affrontato in maniera superficiale, nella misura in cui essi venivano mandati allo sbaraglio senza essere stati preventivamente formati ed informati sui rischi esistenti e sulle misure atte ad evitare infortuni.

N. era ritenuto responsabile di aver messo a disposizione dei propri operai un'autobetompompa (di proprietà di P. s.r.l.) non idonea ai fini di sicurezza in quanto non perfettamente funzionante per carenza di manutenzione e per la sostituzione della pulsantiera originale con altra impropria ed ancora per aver consentito al proprio dipendente P. di effettuare operazioni di gettata di calcestruzzi ponendosi a distanza inferiore ai cinque metri dalla suddetta linea elettrica aerea.

Tale conclusione determinava il Tribunale ad escludere la responsabilità di F.G., legale rappresentante della ditta P., che secondo la prospettazione della pubblica accusa, aveva dato in uso alla ditta L. un autobetonpompa non rispondente alle disposizioni in tema di sicurezza del lavoro per carenza di manutenzione e per la sostituzione della pulsantiera originale con altra impropria.

In particolare, all'esito dell'istruttoria si accertava che alcuna incidenza avevano avuto nel prodursi dell'evento le anomalie accertate dai tecnici sull'autobetompompa e per di più emergeva che il mezzo era stato concesso in comoda d'uso alla L. che assumeva l'obbligo di conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia.

Marzi Nicola era ritenuto responsabile, nella sua veste di per aver omesso di vigilare sull'osservanza del citato piano di sicurezza e di non aver cooperato con le imprese interessate alla previsione ed attuazione delle misure prevenzionali, alla luce del disposto di cui all'art. 7 del d.lvo 626/1994 che gli impone non solo di verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'appaltatore e di informarlo sui rischi specifici, ma di cooperare con le stesse nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro.

Questi poi, pur essendo responsabile di Anas, era intervenuto non più di un paio di volte sul cantiere.

In conclusione nella sentenza di prime cure si affermava che le condotte colpose erano eziologicamente correlate all'evento morte che colpì il povero P., ., evidente essendo che ove B., N. e M. ( oltre ovviamente a D. e R.) avessero rispettato compiutamente la legislazione in vigore e messo a punto un sistema di sicurezza in linea con tale normativa, programmando adeguatamente la prevenzione da infortuni sul lavoro ( ivi compreso quello derivante da folgorazione per contatto con le linee aeree a media tensione dell'Enel) l'incidente con ogni probabilità non si sarebbe verificato.".

Parimenti si escludeva che l'evento morte che colpì il P. fosse ricollegabile ad un comportamento imprudente ed incongruo del lavoratore ed in ogni caso, anche "ove un certo qual grado di colpa ci fosse stato (nel non aver atteso l'arrivo del geom R.) questo non potesse reputarsi in grado di escludere il nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l'evento, non avendo costoro adempiuto all'obbligo prevenzionale direttamente sugli stessi gravante, né almeno, verificato che gli altri garanti a tanto avessero a loro volta provveduto.

Ciò detto va rilevato che il datore di lavoro, quale diretto responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa prevenzionale e sfuggano alla tentazione di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro magari di comodo, ma non corrette e foriere di pericoli.

La responsabilità si può escludere solo nell'ipotesi tipica di comportamento "abnorme" nel caso in cui il lavoratore violi "con consapevolezza" le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione che si poteva prevedere e certamente non può evitare. ( Cass. pen. n. 32357/2010).

Ne consegue che sulla base dei fatti come sopra accertati, i convenuti, ad eccezione di P. S.r.l., non essendo stata provata la tenuta, da parte di quest'ultima, di condotte censurabili in collegamento causale con la morte di P.E., vanno condannati in solido al risarcimento del danno subito dagli attori e dal loro dante causa, P.M., in ragione del prematuro decesso del congiunto.

DANNO NON PATRIMONIALE

Quanto alla prova del danno non patrimoniale deve convenirsi con la prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini della risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale preteso dai superstiti iure proprio non è necessaria la prova specifica della sussistenza di tale danno, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzioni.

Più di recente la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che "In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato - in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 della cd. "Carta di Nizza" - è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell'immediatezza dell'illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello "dinamico-relazionale" (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana).

Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e

materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente , secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare." (così Cassazione civile sez. III 17/04/2013 n. 9231).

Tale danno deve essere risarcito mediante il ricorso a criteri di valutazione equitativa che, prendendo come parametro i criteri adottati dal tribunale di Milano, tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Tale convincimento discende dagli insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione secondo cui" ... quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari.

Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.c., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono" (così Cass n. 12408/20 Il).

Tenuto conto di quanto innanzi ed avuto riguardo ai parametri posti dalle tabelle del Tribunale di Milano per la morte del figlio (da euro 126.990 ad euro 327.990,00) si stima equo riconoscere in favore del defunto P.M. un danno di natura non patrimoniale pari ad € 200.000,00 così determinato in considerazione dell'età del genitore (72 anni) e del figlio deceduto (33 anni) nonché del nucleo familiare composto da altri due figli.

Quanto a P.E., tenuto conto dei parametri posti dalla predette Tabelle per la morte del fratello (da € 23.740,00 ad € 142.420,00), si stima equo riconoscere in favore della medesima un danno di natura non patrimoniale di € 45.000,00 in considerazione della convivenza, dell'età dei fratelli (29 E. e 33 E., del nucleo familiare rimasto e del fatto che che l’attrice era fidanzata e dunque in procinto di costruire un proprio nucleo familiare, come nei fatti è poi avvenuto due anni dopo, come risulta dalle testimonianze in atti.

Quanto infine a P.L. si stima equo riconoscere in favore dello stesso un danno di natura non patrimoniale di E 30.000,00 in considerazione dell'età dei fratelli (37 anni L. e 33 E.), del nucleo familiare rimasto e del fatto che l'attore in questione non era convivente col fratello da circa quindici anni essendosi trasferito a Bologna.

Non appaiono infatti sussistenti, nella specie, né tantomeno sono stati allegati, specifici elementi che possano indurre a quantificare il danno non patrimoniale di natura permanente subito dagli attori in misura superiore ai valori come sopra determinati.

Sulle predette somme vanno altresì riconosciuti gli interessi legali sugli importi devalutati alla data del sinistro e anno per anno rivalutati fino al saldo.

DANNO PATRIMONIALE

Sul punto va rilevato che P.M. ha chiesto la condanna dei convenuti alla corresponsione della somma di euro 30.000,00 a titolo di mancata percezione della quota di reddito che il figlio E. destinava alla famiglia.

In proposito, a giudizio di chi scrive, tenuto conto che il padre godeva incontestatamente della pensione e che P.E. aveva 33 anni al tempo del decesso, non possono ritenersi attendibili le dichiarazioni rese dal teste C., secondo cui il lavoratore consegnava l'intera retribuzione al proprio genitore affinchè la gestisse.

All'esito del giudizio deve dunque ritenersi che non sia stata raggiunta la prova in ordine al fatto che P.E. contribuisse in maniera sistematica, con la consegna di parte della propria retribuzione, al mantenimento del padre.

La domanda va dunque rigettata.

Sulla base delle considerazioni appena svolte va altresì rigettata la domanda avanzata da L. in ordine alla richiesta di risarcimento del danno derivato dal sequestro penale del mezzo utilizzato dal P.

Le spese di lite tra parte attrice e i convenuti seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore dell'avv.to N. dichiaratosi anticipatario.

Anas S.p.a. va condannata alla rifusione in favore della terza chiamata P. delle spese di lite, parimenti liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita,

1. Accoglie le domande attoree per quanto di ragione e per l'effetto condanna i convenuti in solido, ad eccezione di P. S.r.l., alla corresponsione in favore di P.E. della somma di euro 145.000,00 e di P.L. della somma di euro 130.000,00, oltre accessori come in motivazione.

2. Rigetta la domanda proposta da L. S.r.l..

3. Condanna i convenuti in solido, ad eccezione di P. S.r.l., alla rifusione in favore degli attori delle spese di lite che liquida in complessivi euro 13.440,00 di cui ed euro 1440,00 per spese ed euro 12.000,00 per compensi, oltre IVA CPA e rimborso forfetario al 15%, con distrazione.

4. Condanna ANAS S.p.a. alla rifusione in favore di P. S.r.l. delle spese di lite che liquida in complessivi euro 4.500,00 per compensi, oltre IVA. CPA e rimborso forfetario al 15%.

Lecce, 20/0712015

il Giudice dott. Federica Sterzi Barolo